Da Gucci ad Alberta Ferretti, e ritorno: i due estremi della prima giornata della settimana della moda milanese sono questi. In mezzo, le certezze di Alessandro Dell’Acqua e le sorprese di Fausto Puglisi. E siamo solo all’inizio
Dopo New York e Londra, tocca – immancabilmente – a Milano. Gli addetti ai lavori e i fashionisti più esperti lo sanno bene: è nella capitale del made in Italy che la moda entra davvero nel vivo di quelle che saranno le tendenze e gli irrinunciabili must della Primavera-estate prossima, quella del 2018. Se a New York si sta ancora tentando – salvo rare eccezioni – di creare un vero e incisivo business della moda, se a Londra i creativi possono dare sfogo alla propria creatività più sperimentale e visionaria, se a Parigi si fa, spesso e volentieri, autentica arte in formato in passerella.
.. beh, è ancora e sempre a Milano che la moda intesa come industria, mercato e commercio ha tutt’oggi le sue cartucce più esplosive da sparare. La fashion week milanese prende il via con circospezione e cautela, mercoledì mattina, con le sfilate di un coraggioso drappello di giovani apripista: Grinko, Atsushi Nakashima, Alberto Zambelli e Cristiano Burani. Ma il taglio del nastro di partenza in grande stile è affidato a uno degli show più attesi dell’intera settimana, quello di Gucci nella visione eccentrica e malinconica del suo direttore creativo Alessandro Michele. Uno show se possibile più blindato ed esclusivo del solito. E anche più immaginifico. Nel quartier generale di sapore industriale della griffe Michele (ri)costruisce un universo parallelo che attinge a piene mani, con sfacciata e divertita noncuranza di una qualsiasi verosimiglianza storica, all’architettura del passato. Attorno al Tevere immaginario della sua Roma, lo stilista monta una scenografia ridondante e volutamente kitsch dove alle grandiose statue romane fanno da contraltare archi indiani e atzechi, dove a Paolina Bonaparte risponde la testa di Augusto, sotto una tempesta sonora e luminosa che, forse, vuole come stordire il pubblico prima di immergerlo nell’estetica ormai così riconoscibile dello stilista. Riconoscibile, appunto. Perché Michele prosegue – con una certa coerenza, questo va riconosciuto – nell’esplorare fin nei più impenetrabili interstizi tutte le sue più o meno consapevoli e dichiarate fonti di ispirazione, i rimandi, le fascinazioni e i miti (quelle che lo stilista chiama«urgenze, fantasmi e desideri») che frullati e ricomposti e interscambiati tra di loro hanno dato vita, appunto, a quello che oggi è riconosciuto come lo «stile Gucci». Che comprende tutto e il contrario di tutto, da Elton John a Bugs Bunny, dalla tuta in acetato al visone old style. Il tutto spolverato di glitter. Vale tutto, insomma. Basta saperlo indossare in modo imprevedibile. Un bell’inno alla libertà, in fondo. Vestitevi un po’ come meglio credete. Basta che siate almeno un po’ weird?
Federico Rocca, Vanity Fair