C’è una scena di Boris in cui il regista propone il progetto «Machiavelli» e si sente rispondere che è un tema scottante, un po’ troppo di attualità politica: «Dobbiamo ancora risolvere il nostro rapporto con le guerre puniche!».
Un modo per stigmatizzare una certa propensione della fiction italiana a non affrontare temi sociali e politici rimanendo ancorati a un immaginario di un popolo di santi, poeti e quello che volete voi
Ma parliamo di una serie di più di dieci anni fa. Tanto – tutto? – è cambiato nel frattempo nella serialità italiana (per dire la Fandango ha annunciato una serie sulla tragica storia di cronaca di Stefano Cucchi). Le differenze con quella mainstream internazionale si stanno assottigliando e il sistema di produzione ha ormai assunto caratteristiche quasi industriali anche se sempre molto legate all’azione di singoli produttori. Su tutto il controllo di Rai, Mediaset, Sky e ora Netflix che con Suburra, di cui sono appena terminate le riprese della seconda stagione, ha iniziato a produrre serie originali italiane. Questo il quadro che emerge dall’ampia ricognizione che la rivista Link idee per la tv fa nel nuovo numero dedicato agli «Autori seriali» con interviste ai più importanti attori dell’audiovisivo, da Eleonora Andreatta a capo di Rai Fiction a Daniele Cesarano di Mediaset a Nils Hartmann di Sky passando per i principali produttori e sceneggiatori.
A ricordare il monito di Boris ci pensa Ludovica Rampoldi, la sceneggiatrice che con Alessandro Fabbri e Stefano Sardo – conosciuto all’innovativa ma purtroppo ex scuola di sceneggiatura di Mediaset – ha creato la serie originale 1992, quella con il famoso claim «da un’idea di Stefano Accorsi», la prima di Sky non derivativa, a differenza di Gomorra e Romanzo criminale, entrambe figlie – ricorda Rampoldi – del percorso «grande libro che diventa un grande film che diventa una grande serie». Ma, anche se è indubbio che queste proposte di Sky (che ora sta lavorando a una trentina di progetti contemporaneamente) abbiamo generato una rivoluzione nel piccolo schermo in termini anche di sviluppo di serie con un occhio Oltreoceano, non sarebbe giusto dimenticare come all’inizio del nuovo millennio sia Rai che Mediaset abbiamo investito su due serie poliziesche innovative nella loro nuova modalità di racconto cosiddetto orizzontale e soprattutto corale (prima c’erano gli one man show come Il maresciallo Rocca o La piovra) come La squadra e Distretto di Polizia. Quest’ultima è tutta merito di Pietro Valsecchi il cui valore – ricorda ora Daniele Cesarano che sta cercando di aprire la fiction Mediaset a generi e mercati diversi e che ha lavorato con il produttore di Taodue sia per le successive stagione di Distretto che per Ris – «è di aver modificato il linguaggio della tv italiana, creando professionalità che una volta uscite da lì hanno impiantato altrove quella modernità linguistica».
Su questa tensione all’innovazione linguistica si muovono un po’ tutti i player del settore. Anche sorprendentemente (pensiamo al recente La linea verticale con il formato da 20 minuti a episodio su Rai Tre). Anche parlando di Don Matteo perché, ricorda Fabio Guarnaccia uno dei due curatori del numero di Link insieme a Luca Barra, «si liquida con troppa superficialità il lavoro fatto sulle fiction più tradizionali della tv generalista, come se fosse facile tenere in vita titoli di successo». In questo caso, ricorda Sara Melodia produttrice che lavora dal 1999 in Lux Vide, mentre prima le storie erano chiuse ossia «si aprivano e si chiudevano, alla Colombo un modello di televisione anni Ottanta», ora si è puntato «su uno sviluppo orizzontale maggiore senza però snaturare il prodotto».
Lux Vide è anche una delle importanti realtà che si è buttata a capofitto nella produzione internazionale con la serie originale I Medici su cui è stato chiamato a lavorare uno degli showrunner (una professione ancora sconosciuta in Italia con un responsabile editoriale che segue tutto l’iter di una serie, dalla scrittura all’allocazione del budget) più importanti, lo statunitense Frank Spotnitz (X-Files). Ma ormai la serialità italiana più interessante è tutta rivolta al mercato estero, è nata così la coproduzione internazionale (per l’Italia Wildside) di The Young Pope di Paolo Sorrentino a cui seguirà a breve The New Pope mentre L’amica geniale, la prima serie non in inglese della statunitense Hbo, i cui primi due episodi diretti da Saverio Costanzo vedremo ai primi di settembre alla Mostra del cinema di Venezia, è in programma dal 30 ottobre su Rai Uno. Su questa stessa rete approderà Il nome della rosa diretta da Giacomo Campiotti girata quasi interamente a Cinecittà. Perché poi alla fine l’idea vincente è sempre la stessa ed è quella del glocal: prodotti italiani ma con un linguaggio appetibile anche al mercato estero. Un esempio su tutti? Il Commissario Montalbano, serie venduta in più di 60 paesi.
Pedro Amocidra, Ilgiornale.it