«La guerra? Un’assoluta follia. E questo romanzo riesce a renderlo evidente, mettendo in ridicolo il potere che si nasconde dietro a regolamenti assurdi e burocrazia». Come ogni studente americano George Clooney aveva letto a scuola Comma 22 di Joseph Heller. «Avevo amato il tono, libero e dissacratorio. Riscoprendolo ho colto gli aspetti più profondi». Si è fatto in tre — produttore esecutivo, regista e interprete come l’amico e socio Grant Heslov (la terza regista è Ellen Kuras, hanno firmato due episodi a testa) — per la miniserie coprodotta da Sky Italia, Catch 22, sei episodi girati in Italia, che vedremo in maggio su Sky Atlantic La storia del capitano pilota della Us Air Force John Yossorian (Christopher Abbott) di stanza a Pianosa durante la II guerra mondiale che Mike Nichols portò sul grande schermo nel 1970. Per sopravvivere cerca di sottrarsi all’infinito numero di missioni di volo che i suoi superiori continuano a assegnargli. Ma l’ostacolo è il famigerato Comma 22: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo».
Manifesto antimilitarista
Un paradosso che racchiude e amplifica l’assurdità del potere stesso. «Yossorian è un grande personaggio, meritava di essere nuovamente protagonista», si infervora l’attore. «Una narrazione più lunga ci ha permesso di mettere a fuoco tutti i personaggi, rispettare i diversi toni del romanzo, dal comico al drammatico. È cosi difficile trovare copioni buoni, come regista devi dedicare un anno e mezzo a un progetto. Anzi, ora che sono padre almeno due. Deve valerne la pena». Anche John Heller era stato pilota, combattendo in Corsica. Faceva il copywriter, la guerra lo trasformò in scrittore: ci mise otto anni a terminarlo. Pubblicato nel 1961 da Simon & Schuster, Comma 22 fu adottato dai giovani che manifestavano contro la guerra in Vietnam: il capitano Yossorian divenne l’antieroe che incarnava la voglia di vivere voltando le spalle all’autorità. Oggi tra venti bellicosi agitano l’Occidente e una realtà che sembra anticipare la satira, il romanzo acquista nuovi significati. «È attualissimo — conferma Clooney —. La pazzia, lo vediamo ogni giorno, è contagiosa». Il libro «è un distillato profetico della condizione di ansia in cui si vive oggi in America», gli fa eco lo sceneggiatore Luke Davies. Nel cast di Catch 22 al fianco di Hugh Laurie e Kyle Chandler, Clooney si è ritagliato il ruolo del generale Scheisskopf, maniaco di marce e parate e ha voluto anche Giancarlo Giannini che fa Marcello, gestore del bordello romano. «George sul set gli faceva da assistente, tenendogli i cartelli con le battute», racconta Ellen Kuras. Un set particolarmente impegnativo, tra Cinecittà, il viterbese, la Sardegna, in particolare il vecchio aeroporto di Olbia-Venafiorita, con i tre registi che hanno girato in parallelo. «Passare in Italia sette mesi è stato bellissimo, tra noi si è creato un forte senso di cameratismo, è un progetto che ci ha dato tanto. È ora che è finito ci manca», confessa Clooney. Il brutto incidente capitato in maggio sembra dimenticato. Fisicamente duro confermano gli attori e complesso dal punto di vista logistico, con i veri aerei d’epoca, i B25, fatti arrivare apposta dagli Usa («All’epoca del film ce n’erano 45, ne sono rimasti due, se si fossero rotti sarete s tato un guaio»). Ma tosto anche emotivamente. Per quanto trattato in chiave farsesca il tema di fondo è il dolore, vano, provocato dalla guerra, il senso di morte. «Non abbiamo edulcorato nulla, con un tema così non puoi fermarti a metà strada». In tempo di conflitti, «l’orrore rende tutto ancora più ridicolo», sottolinea Heslov che con Clooney sta lavorando a un nuovo progetto. Una serie sul Watergate per Netflix. Ancora piccolo schermo per l’ex dottor Ross di E.R.. «Il mezzo non conta, a vincere sono i contenuti». Sorridente e rilassato come sempre, Clooney si adombra solo quando gli si chiede di Meghan Margle, moglie del principe Harry, amica di famiglia. «È assediata dai media come lo fu Diana. Sembra una storia che si ripete».
Stefania Ulivi, Corriere della Sera