“A casa tutti bene”: la nuova serie tv di Gabriele Muccino con risvolto “crime”

“A casa tutti bene”: la nuova serie tv di Gabriele Muccino con risvolto “crime”

Un salto nel buio ma pieno di coraggio: Gabriele Muccino passa dal grande al piccolo schermo con enorme consapevolezza, oltre che con qualche dubbio. Il merito è della storia di “A casa tutti bene”, che, dopo l’anteprima alla Festa del cinema di Roma, arriva in otto puntate su Sky Serie e NOW dal 20 dicembre.

Il film del 2018 viene declinato con un nuovo cast, ma con gli stessi personaggi. Sulle note della sigla di Jovanotti il regista de L’ultimo bacio racconta la famiglia Ristuccia, un gruppo storico di ristoratori che vive tra dinamiche disfunzionali e tanti segreti. A partire dal patriarca Pietro (Francesco Acquaroli) e dalla moglie Alba (Laura Morante): molte delle relazioni intricate riguardano infatti i loro tre figli. Carlo (Francesco Scianna) ha velleità speculative, Sara (Silvia D’Amico) è la cocca dei genitori mentre Paolo (Simone Liberati) l’anima vagabonda di casa. A loro si aggiungono consorti, fidanzate, nipoti, cugini, zie e ogni genere di parentela possibile, tra interessi comuni e diatribe personali. Lo ha raccontato il regista assieme ad alcuni membri del cast durante la conferenza di presentazione romana.

Che libertà si è preso nella prima serie della sua carriera?
Ho usato lo stesso standard qualitativo: mi sono imposto di non cambiare linguaggio, nei conflitti e nei toni affettivi, perché non ho voluto patteggiare con il mezzo. È un’operazione molto empatica che mette in scena anche debolezze e fragilità, in fondo noi viaggiamo e sprofondiamo insieme ai personaggi, anche per esorcizzare le cose della nostra vita in un gioco di specchi, anche se il pubblico probabilmente sarà quello più giovane di quello che mi segue al cinema.

Qual è il suo segreto?
Riesco a fare cose buone se vengo lasciato libero, con l’istinto a guidarmi senza spiegarne le ragioni, infatti quando non è successo mi sono ritrovato a sbagliare.  

Quando è nata l’idea?
L’idea di fare una serie mi è venuta sul set del film, quando ho sentito il desiderio di continuare la storia in un’altra forma. Ne avevo già parlato con gli attori anche se mi sono reso conto che sarebbe stato impossibile riunire quello stesso cast, così ne ho cercato uno nuovo, ma che avesse specifiche forti. Doveva ricostruire quella mappa che il film segnava, con coordinate di atteggiamento simile nella vita. Alcuni attori hanno fatto 30 provini, altri uno solo, però sono stato sempre severo.

Come si sono evoluti i protagonisti?
In otto puntate ho avuto modo di esplorare tutto al meglio, raccontando una famiglia dalla sorgente ai risultati finali. Questo mi ha permesso di capire perché ognuno di loro agisce in un determinato modo. Invece il film ti costringe ad una sintesi continua, in scene di 30 secondi devi suggerire un mondo. Qui invece ho il lusso del racconto lungo e approfondito.

Qual è il suo punto di forza?
Ho un’innata capacità di attrazione e leadership, la mia parola viene ascoltata con attenzione e sul set si crea una sintonia incredibile. Pure con Russell Crowe, che è uno che litiga pure con i muri. Dopo sette giorni di riprese ha capito che il comando ce l’avevo io e mi ha detto: “Ok, facciamolo”. Penso che gli attori abbiano sentito l’amore che ho verso i personaggi e verso i loro talenti e questo ha creato una sinergia unica. Vedono una visione forte: li mette in un certo comfort e fa loro vivere le emozioni, invece che simularle.

Lei quale serie tv ama guardare?
Di recente mi sono appassionato a Scene da un matrimonio e La regina di scacchi, ho sentito parlare benissimo di Succession, attualmente in cima alla lista dei prossimi titoli da non perdere.

E la svolta dal family drama al crime?
Il crime è stata un’intuizione degli sceneggiatori. Io ho sempre avuto attrazione verso l’oscuro, anche se non mi ci sono mai addentrato. La serie parla di tutti gli istinti primari più profondi, tra cui l’omicidio (fin da Caino e Abele): per sopravvivere l’uomo uccide quello da cui sarebbe potuto essere ucciso. Fa parte di una delle componenti complesse di un essere umano, un crimine assoluto che esercita il potere totale su un altro essere umano.

Francesco Scianna: All’inizio leggendo le sceneggiature vedevo Pierfrancesco Favino passarmi davanti tra le parole, poi però è tutto sparito sul set. La materia è diversa, anche se la struttura resta uguale, e noi abbiamo sviluppato maggiormente alcuni aspetti. Lavorare con Gabriele Muccino è come fare l’amore in maniera naturale, stupendo. E infatti io dopo le riprese facevo la doccia e mi sentivo innamorato di tutti.

Silvia D’Amico: Muccino fa vivere i personaggi e la mia Sara, ad esempio, non è una vittima, anzi reagisce in maniera imprevedibile.

Laura Adriani: Carolina Crescentini è meravigliosa, ma io ho provato a trovare altre strade, anche un pochino più morbide rispetto al film.

Simone Liberati: Per me è stato bellissimo lavorare su carta bianca, ricreare nuovamente i personaggi.

Valerio Aprea: Io invece ho imitato Massimo Ghini paro paro, mi godo il momento finché durava, conscio che per motivi clinici io sarò il prossimo a essere fatto fuori.

Euridice Axen: Nella vita faccio fatica a fidarmi e lasciarmi andare. Qui non è stato così. Ricordo il primo giorno con un freddo pazzesco in Sardegna, ma dovevo sembrare gioiosa e invece Muccino continuava a dire: “Stiff, stiff” (voleva dire che eravamo legnosi). Con un inizio così potevamo solo migliorare e così è stato.


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