Ne sono uscite in quantità, tutte concentrati in pochi giorni. E per tutte gli incassi sono modesti. Le possibili ragioni di una disfatta che non fa bene al cinema italiano
DIO SALVI il cinema italiano! A invocare patriotticamente l’intervento divino ci inducono le ultime statistiche Cinetel degli incassi. Che, dopo settimane di overdose televisiva di promozione del cinema nazional-popolare, trailer e scene (sempre le stesse) dei film natalizi, arrivano come una doccia fredda sulle speranze di produttori ed esercenti, da sempre avvezzi a curare le Festività come la gallina dalle uova d’oro. Tanto per restare nella metafora aviaria, viene in mente il pollo di Trilussa: con sette cinepanettoni in contemporanea sugli schermi, potevano esserci polli per tutti? Ergo, ciascuno sperava che il suo fosse il più appetitoso, e che incassasse di più. Non è andata così. Giovedì 15 sono usciti tre cinepanettoni, sbaragliati dalla concorrenza di Rogue One – A Star Wars story e del fantasy di Tim Burton Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali. Poveri ma ricchi, Natale a Londra – Dio salvi la regina e Fuga da Reuma Park si sono attestati tutti sotto il milione di euro (923mila il primo, 720mila il secondo, 640mila l’ultimo). Confermano il pessimismo i dati di altri titoli simili a quelli come gocce d’acqua.
Uscito il weekend precedente, Non c’è più religione è sceso al settimo posto in classifica, perdendo 228 schermi; mentre Un Natale al Sud, visibile dal 1° dicembre, si è dovuto ritirare da 220 sale riuscendo a richiamare poco più di 20mila spettatori. Due carriere bruciate in fretta quelle dei film con Bisio e Boldi, sostituiti da prodotti più freschi anche se a base di ingredienti simili. La mossa di uscire per primi ha funzionato un po’, ma non troppo. Nelle prime due settimane di programmazione Un Natale al Sud ha totalizzato circa 2 milioni di euro. Lo stesso dicasi di La cena di Natale, già nelle sale dal 24 novembre e che ha praticamente concluso la carriera (oggi è al 29mo posto) con 2 milioni.
Nella strategia delle date di uscita c’è poi una variante, inaugurata nelle ultime stagioni. Il 1° gennaio arriva Mister Felicità di Alessandro Siani, che fino ad allora se ne sarà stato sulla riva del fiume a veder passare i “cadaveri” dei nemici, sperando di prendersi tutto il mercato. Speranza realistica? L’anno scorso, con l’uscita a Capodanno, Quo vado? incassò 65 milioni; e Checco Zalone fu celebrato come il salvatore del nostro cinema. Però Siani, che debuttò a gennaio 2015 con Si accettano miracoli, incassò solo 15 milioni: cifra più che rispettabile – soprattutto a confronto con gli incassi di oggi – ma non paragonabile a Zalone.
Nell’attesa, gli addetti ai lavori s’interrogano mesti sulle ragioni del disastro. Che non attengono certo a una sola causa, però si possono intuire. Intanto i film appartengono tutti allo stesso genere: anche quelli che non sono, a rigore, cinepanettoni (vedi Siani, che ha preso un po’ il posto di Leonardo Pieraccioni) ripercorrono formule arcinote. L’unico tentativo di “rinnovarli” è stato, nelle ultime stagioni, quello di inflazionare i comici, introducendovi youtuber o volti dello show televisivo. Confrontare Natale a Londra dove, accanto a Lillo, Greg e Frassica, troviamo Paolo Ruffini, la coppia di “Made in Sud” ed Eleonora Giovanardi (chissà che non le sia rimasta attaccata un po’ della fortuna di Quo vado?). Funzionano poco anche i trust, a giudicare dallo scarso entusiasmo per Fuga da Reuma Park, dove Aldo, Giovanni e Giacomo si sono associati con Ficarra e Picone. La moltiplicazione dei comici, però, non moltiplica gli incassi.
Seconda causa: pescando tutti nello stesso pubblico, non si può poi pretendere che quel pubblico vada a vedersi sette film quasi uguali in un mese: finirà per forza col suddividersi, suddividendo gli incassi. Ma c’è anche un terzo motivo, di cui non sarebbe giusto tacere: che si tratta di film quasi sempre bruttini. Oltre alla tv, che li sponsorizza a getto continuo, e agli altri media, esiste ancora il vecchio “passaparola”: oggi, magari, via social. E se il prodotto non mi è piaciuto, perché dovrei consigliarne l’acquisto agli amici?
La Repubblica