“L’attore è il disabile psichico per eccellenza”: Sergio Castellitto presenta Crazy for Football

“L’attore è il disabile psichico per eccellenza”: Sergio Castellitto presenta Crazy for Football

Approderà su Rai 1 in prima serata il 1 novembre un film che che comincia con un documentario che narra un’impresa. Il regista ha collaborato a questa impresa e l’ha trasformata in Crazy for Football, che nel 2017 ha vinto il David di Donatello per il miglior documentario. Poi il regista, che è Volfango De Biasi, ha ripreso la sua storia vera, quella della nazionale italiana di calcio a 5 di pazienti psichiatrici, e ne ha fatto un film di finzione, intitolato Crazy for Football – Matti per il calcio. Dopodichè ha affidato il ruolo dello psichiatra Santo Lulli a Sergio Castellitto, cambiando il nome in Saverio, e ha scelto Max Tortora per la parte dell’allenatore e Antonia Truppo per il personaggio dell’infermiera che aiuta Saverio.

Crazy for Football – Matti per il calcio fa parte della sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma 2021, dov’è stato presentato questa mattina. Poi De Biasi, Castellitto e la Truppo hanno parlato con i giornalisti nella conferenza stampa di ordinanza. Ha cominciato Volfango, che ha messo a confronto documentario e film: “Anche un documentario è finzione. Crazy for Football dura 74 minuti, mentre le ore di girato erano circa 170. La realtà è quella che è, poi tu la racconti e la monti in un certo modo. Con il film di finzione restituisci i momenti intimi, privati. Il mio obiettivo era mantenere contemporaneamente il divertimento e l’umanità. Da quando sono piccolo credo che al sociale vada riservata una Rolls Royce, una luce. Spero di aver mantenuto lo stesso slancio e lo stesso amore che c’era nel documentario”.

Sergio Castellitto ha abbracciato con molto piacere il progetto, contento della storia e della sceneggiatura: “Avevo visto il documentario e sono stato travolto dall’entusiasmo di Santo Lulli. Ho letto una buonissima sceneggiatura. Al di là della disabilità, penso che la materia della psiche sia intrinseca al lavoro dell’attore. E’ un argomento che ho frequentato ne Il grande cocomero e nella serie In Treatment. Quello che mi ha appassionato è stata la possibilità di lavorare sulle solitudini. Il calcio è un gioco di squadra, ma qui diventa qualcosa di più, perché è il fulcro dell’aggregazione di tante solitudini. Il disagio mentale è solitudine. Noi stessi, i cosiddetti normali, dovremmo riflettere su questa parola. L’attore, poi, è il disabile psichico per eccellenza, una persona sempre divisa”.

Poi Castellitto sfodera il suo orgoglio nazionale: “Ci siamo trovati a fare un bellissimo film in un anno in cui gliel’abbiamo cantata a tutti da un punto di vista sportivo. Non si guarisce perché si vince o si partecipa e basta a una o più partite, si guarisce se ci si porta a casa un’amicizia, una relazione umana. Se la solitudine è il vero disagio di oggi, la paura è la nostra più grande nemica. Lo psichiatra in realtà è anche lui una persona problematica, Saverio non è un uomo perfetto, è un padre inadeguato, un ex marito fuggitivo. Anche questo è un aspetto che mi è piaciuto molto, perché sono le nostre fragilità che ci rendono speciali, non certo le nostre perfezioni”.

Antonia Truppo, al contrario di Sergio Castellitto, non era convinta di voler partecipare al film: “Quando Volfango e la produttrice Carolina Terzi mi hanno intercettato, ero scettica. Ho sempre avuto un grande terrore della malattia mentale, e ho sempre avuto paura di poter essere io un giorno la persona con un disturbo, ho avuto conoscenze prossime con questi problemi, ecco perché li ho tanto temuti. Questo copione e il documentario affrontavano la questione con serietà e profondità, ma anche servendosi della commedia, che non sminuisce il problema, ma anzi lo fa venir fuori in maniera maggiore. E poi mi piaceva l’idea di un personaggio a metà fra i pazzi e il vero pazzo, e cioè lo psichiatra, che è fuori dagli schemi com’è giusto che sia. Crazy for Football mi ha aperto nuove prospettive sul disagio mentale”.

Che Max Tortora, Sergio Castellitto, Antonia Truppo e anche Massimo Ghini si sarebbero dimostrati all’altezza del compito affidato loro da De Biasi, non avevamo dubbi. Ma non pensavamo che gli attori che interpretano i calciatori avrebbero dato tanto. E’ il regista lodarli per benino: “Per quanto riguarda i personaggi dei ragazzi che giocano a calcio, all’inizio mi sono detto: magari lavoro con i pazienti, poi ho pensato ai tempi del cinema, al fatto che avrebbero dovuto imparare il copione a memoria, e prendendo tanti psicofarmaci avrebbero incontrato notevoli difficoltà. A quel punto ho capito che dovevo ingaggiare degli attori. Ho fatto 700 provini per scegliere 10 ragazzi che affiancasse il poker d’assi composto da Sergio Castellitto, Massimo Ghini, Max Tortora e Antonia Tuppo. Abbiamo lavorato molto con i giovani attori: hanno incontrato i veri pazienti, ci siamo allenati, hanno parlato con alcuni psichiatri, e la prima volta che hanno visto Sergio e Max hanno chiesto se anche loro fossero dei pazienti, e questo perché, su mio invito, dovevano restare in parte per tutto il tempo”.

Volfango De Biasi è strafelice che Crazy for Football debutti sul piccolo schermo: “Ho scritto questo film con gli amici d’infanzia, per noi che abbiamo coltivato questo sogno è bellissimo arrivare in tv, volevo fare un film che fosse una favola capace di entrare nelle case della gente. C’è sempre stato, sul set, un grande clima di compartecipazione a un tema importante. Questa storia è esemplare perché il calcio lo giocavamo prima dell’insorgere della malattia psichiatrica. Il calcio ti riporta a quando eri bambino, a un grande linguaggio popolare. Magari una persona che vede questa storia e sa di non stare bene pensa: chiamo qualcuno. Mai avrei potuto immaginare che un giorno il mio amico di quando ero piccolo Santo Rullo sarebbe stato interpretato da Sergio Castellitto. A questo punto speriamo davvero di trasformare Crazy for Football in una serie o in una fiction”.

Ovviamente Santo Lulli non è il primo personaggio realmente esistito o esistente che Sergio Castellitto ha interpretato in tanti anni di carriera. Qualcuno chiede all’attore se abbia incontrato il suo “modello”. “Ho una certa esperienza con i personaggi veri” – spiega – “da Lorenzo Milani a Fausto Coppi. Io penso sempre alla storia e alla sceneggiatura, e quindi per me tutti i personaggi sono stati inventati dalla penna di uno scrittore. L’incontro con la persona vera è interessante, ma si corre il rischio di costruire o l’icona o il conflitto. Lavoro sempre sull’immaginazione: gli attori devono mentire simulando che sia una verità. Santo è certamente un uomo straordinario, ha destinato sua esistenza ai suoi pazienti: non si può quindi che ringraziarlo”.

L’ultima domanda dell’incontro stampa è sempre per Castellitto, a cui un giornalista domanda se gli capiti mai di sentirsi inadeguato, proprio come i giocatori del film. Sergio fa una pausa e poi dice: “Un attore bravo deve sempre sentirsi inadeguato, altrimenti non cresce. La sfida dell’attore è rimanere con un animo studentesco. Io ho sempre paura quando comincio un film, anzi più che di paura parlerei di panico. Il panico è una cosa diversa, è una benzina, è sapere che sei sempre sull’orlo di un baratro. Io cerco sempre di fare del mio meglio, ma non capisco se è il meglio che avrei potuto fare”.

Carola Prato, comingsoon.it

Torna in alto