Veronica Yoko Plebani, la bellezza della diversità: “Mi piace il mio corpo, fa cose straordinarie”

Veronica Yoko Plebani, la bellezza della diversità: “Mi piace il mio corpo, fa cose straordinarie”

Se hai 15 anni e sei una ragazza iperattiva e piena di progetti, con la passione per lo sport, una meningite fulminante batterica con conseguente degenza in ospedale di mesi e amputazione di parte degli arti, pensi che sia quanto di peggio ti possa capitare. Il mondo si ferma, i piani vengono sconvolti, c’è da fare i conti con una nuova quotidianità e un nuovo corpo, con nuove sfide impensabili fino a poco prima, si fa avanti la parola disabilità.

Ma proprio la sana incoscienza dei 15 anni è stata, per Veronica Yoko Plebani, anche una salvezza, perché il non avere assolutamente idea del dopo le ha dato la possibilità di costruirselo a suo modo, con spirito propositivo e soprattutto con tanta curiosità e costante voglia di migliorarsi. A Fanpage.it ha raccontato di quanto lo sport si sia rivelato fondamentale: è ciò che le ha permesso di costruire un’identità, un’indipendenza. Parallelamente si è mossa anche nel mondo della moda, ricordando che non esistono corpi giusti e corpi sbagliati e che oltre gli stereotipi e i modelli, oltre quei corpi tutti uguali che siamo abituati a vedere su passerelle e riviste, c’è una diversità che merita di essere rappresentata.

Sono trascorsi ormai 12 anni da quando si è ammalata e, sembrerà strano, ma Veronica Yoko Plebani di quel periodo molte cose le ha rimosse! A Fanpage.it ha ammesso: “Mentre ero in ospedale pensavo: questo dolore non lo dimenticherò mai. Poi esci, inizi a fare l’atleta paralimpica, succedono tante cose e quel momento diventa davvero piccolo, soprattutto se hai l’opportunità di vivere tante cose incredibili come tre Paralimpiadi, girare il mondo grazie allo sport, conoscere tante persone, fare divulgazione anche in ambito internazionale. Il momento della malattia in tutto questo è diventato davvero poco. È stato un momento difficile, un gradino in cui sono inciampata”.

Da quella caduta, lei ha cercato di risollevarsi subito e fondamentale si è rivelato il supporto della sua “folle” famiglia. Appena uscita dall’ospedale è volata a New York coi genitori, per la famosa maratona: suo padre ha corso i 5 Km della Dash to the Finish Line spingendola in carrozzina e lei simbolicamente ha tagliato il traguardo. “Sono stati i miei primi passi, usavo ancora la carrozzina per muovermi e lì ho capito quanto lo sport e il movimento potavano darmi, nonostante un corpo che non mi facesse più vedere lo sport come prima” ha detto.

E ha fatto tanto non solo nel mondo dello sport, ma anche in quello della moda: “Purtroppo le iniziative di inclusione, di rappresentazione della diversità sono ancora poche rispetto alla quantità di persone che chiede di essere rappresentata. Vedere cose uguali, corpi uguali, persone con le stesse fisionomie è un’occasione sprecata. Io ci provo a fare la mia piccola parte”. È comparsa sulla copertina di Vogue, ha sfilato in passerella, ha posato per Dior mostrando le cicatrici: “A me piace il mio corpo, ogni giorno ci faccio cose straordinarie: il mio corpo sono io”. E proprio quel corpo “non conforme” che ama e che ama mostrare, ci ricorda che la bellezza è complessità e sta anche nella diversità.

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