La primavera della mia vita, in trip con Colapesce e Dimartino. La recensione del film

La primavera della mia vita, in trip con Colapesce e Dimartino. La recensione del film

Dal 20 al 22 febbraio, arriva al cinema il surreale road movie  interpretato dal duo musicale. Un viaggio scherzoso e metafisico  alla scoperta di un Sicilia inedita e di un’amicizia ritrovata, tra leggende e misteri, impreziosito dai camei di Madame, Roberto Vecchioni, Brunori Sas, Erland Øye e La Comitiva

Colapesce e Dimartino hanno rifatto Splash. Dopo la canzone presentata a Sanremo e vincitrice del Premio della Critica Mia Martini e del premio della sala stampa, la coppia di cantautori siciliani si è tuffata nel mare magnum del cinema italiano con La Primavera della mia vita. Diretto da Zavvo Nicolosi (regista del videoclip “Musica leggerissima”, Il lungometraggio, nelle sala cinematografiche come evento speciale dal 20 al 22 febbraio 2023 con Vision Distribution, è una sorta di trasfigurazione cinematografica del brano sanremese e non a caso la traccia accompagna i titoli di coda del film.

LA PRIMAVERA DELLA MIA VITA, LA TRAMA DEL FILM

Alla fine, al cinema parimenti alla musica, il problema è non sentire il peso delle aspettative. Perché la vita è un gioco d’azzardo, una partita di baccarat. O più prosaicamente, per citare una battuta del film “un susseguirsi di tasse, rapporti sessuali deludenti e poi muori“ Sicché Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e Antonio Di Martino affrontano con piglio picaresco e ricchezza frugale questa loro prima avventura sul grande schermo. Una storia semplice (Leonardo Sciascia docet) ma ricca di sorprese. Il duo I metafisici, dopo la fine del proprio sodalizio artistico, si ricompone. Ma all’origine della Réunion non c’è un nuovo progetto musicale. Si tratta invece di attraversare la Sicilia in otto giorni a bordo di un’automobile soprannominata “Lazzaro” per raccontare in un libro le leggende più bizzarre e sorprendenti della regione siciliana. Un lavoro che potrebbe fruttare ad Antonio e Lorenzo novantamila euro esentasse. Ma il tour in un viaggio alla ricerca del tempo perduto, in un buffo trip lisergico, tra mandorli in fiore e risvolti psicanalitici.

DAI GIGANTI IN SICILIA ALLA TEIERA PIÙ GRANDE DEL MONDO

I gemelli siamesi diversi, la teiera più grande del mondo, la statua di Garibaldi che piange, Sono solo alcune delle meraviglie illustrate in La primavera della mia vita. D’altronde, la Sicilia è un luogo in cui il pensiero magico ha trovato da sempre terreno fertile. La trinacria è il luogo del verosimile. Nel film, quindi, c’è spazio pure per i mitici Lestrigoni, i giganti antropofagi cantati da Omero nell’Odissea, per il pane nero di segale cornuta dagli effetti allucinatori e last but not least, per Guglielmo Scrollalancia, ovvero William Shakespeare che secondo una bislacca teoria sarebbe un drammaturgo italiano nato a Messina ed emigrato a Londra per fuggire dalla Santa Inquisizione. Peraltro, la regione siciliana immaginata da Colapesce e Di Martino ricorda il Texas di True Stories di David Byrne. Insomma, per citare John Ford, “Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”.

COLAPESCE  E DIMARTINO, TRA WENDERS E CICCIO E FRANCO

La primavera della mia vita non è un videoclip in versione xxxl, né tantomeno un musicarello riveduto e corretto. Per il proprio esordio cinematografico, il duo musicale opta per un sorprendente road movie che riflette la cifra surreale, ironica malinconica dei testi di Colapesce e Dimartino. Tra echi del cinema di  Wim Wenders, Aki Kaurismaki, AlejandrJodorowskyJohn Landis, Massimo Troisi, ma pure delle gag più surreali dei film di Franco e Ciccio o del Renato Pozzetto di Saxofone, il lungometraggio diverte e intriga. Con la loro recitazione “brechtiana”, la pressoché assenza di gestualità (allora non è vero che tutti gli italiani gesticolano) i cantautori siculi aumentano la sensazione di straniamento e si finisce per credere che la reggia di re Artù sia situata all’interno dell’Etna. Girato in soli 30 giorni, con una fotografia che omaggia gli anni Settanta, il film è un florilegio di Calembour e frizzi linguistiche: dal coro degli albini a Speedy Pizzo, dalle suore sommozzatrici al Siliconista pazzo, sino all’Astice fuggente, il ristorante dove il pesce è così fresco che ti scappa dal piatto. E proprio questa perpetua epifania di lazzi, invenzioni, digressioni rendono il viaggio cinematografico piacevole. Il risultato, quindi è un’opera folle, estrosa, spiazzante in cui convivono un raduno di svalvolati fan dei Doors che si riuniscono in un locale chiamato “L’iguana dei Nebrodi” e gestito da Brunori Sas e l’apparizione di Isabell  Russinova in un duplice ruolo. Così mentre Madame canta la canzone che dà il titolo al film e il professor Roberto Vecchioni spiega le origini italiche del Bardo, viene voglia di perdersi tra le leggende siciliane, magari vestiti come uno dei Bee Gees, e infine “tuffarsi nell’infinità del blu. Splash”.

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