Si chiama Pose e, a oggi, è candidata ai Golden Globes 2019 nella cinquina delle miglior serie tv drammatiche dell’anno. Creata dal «maestro» della tv Ryan Murphy (American Horror Story, American Crime Story, Feud, Glee, Scream Queens) con Brad Falchuck e Steven Canals, è già passata alla storia grazie al cast Lgbt più ampio della storia della televisione: con un insieme di protagonisti che includono tre fenomenali attrici transessuali (Mj Rodriguez è Blanca Rodriguez-Evangelista; Dominique Jackson è Elektra Abundance; Indya Moore è Angel Evangelista), lo show è in realtà un dramma famigliare dai visibilissimi connotati politici e societari sullo sfondo di una città – New York – che appare allo stesso tempo generosa e ingenerosa con i suoi dissidenti. Mai sentito nominare la serie? Certo, non è arrivata affatto in Italia, sebbene dovrebbe, almeno, diventare su disponibile su ChiliTV (il servizio di streaming a noleggio) nei primi mesi del 2019. Un vero peccato considerato che Pose è uno dei prodotti per piccolo schermo migliori del 2018: uno spettacolo godibile e «per tutti» che avrebbe contribuito a generare conoscenza e dibattito anche attorno a temi quali inclusività e rappresentazione oltre a svariate ore di perfetto binge watching.
Di cosa parla Pose
Pose racconta del fenomeno che ha definito un’epoca: la cosiddetta «ball culture» ossia la cultura delle sale da ballo abbandonate che, nella New York anni Ottanta stretta nella morsa dell’AIDS, generava aggregazione soprattutto nelle comunità latinoamericane e afroamericane omosessuali e transessuali attraverso delle vere e proprie gare di stile, danza e bellezza a tema nelle quali si sfidavano delle «case» con tanto di trofei. Cosa si intende con «case»: si tratta in realtà di famiglie non biologiche di individui che, come viene mostrato, convivono spesso sotto lo stesso tetto uniti contro povertà ed emarginazione dovuti a orientamento e identità sessuale. Nella serie ne conosciamo varie, ma al centro dell’azione sono essenzialmente due cioè la House of Abundance, presieduta dalla già citata Elektra; e la House of Evangelista, capeggiata da Blanca. Qualcuno potrebbe già conoscere almeno una delle mosse di danza tipiche della ball culture: si tratta del «voguing» portato alla ribalta (e alle masse) da Madonna con i suoi celebri singoli e video del 1990 dove, di fatto, si sdoganava quel che accadeva dietro porte chiuse o per le strade dei quartieri ai margini. Qualcun altro potrebbe aver già presente il meccanismo di competizione – comprensivo di giuria selezionata – tra partecipanti, per categorie, avendo guardato una o tutte le stagioni RuPaul’s Drag Race, show attualmente disponibile su Netflix (anche in Italia) nel quale diverse drag queen si sfidano per vincere. Infine, i più ferrati potrebbero essersi già imbattuti in uno dei documentari più noti che celebrano e raccontano la ball culture così com’era, anche questo disponibile su Netflix: Paris is Burning.
Perché Pose non è arrivata in Italia
Tecnicamente Pose è una serie prodotta per FX, emittente di prestigio che ricade sotto l’ombrello 21st Century Fox (recentemente passata, per la maggior parte, a Disney; lo stesso Ryan Murphy è infatti stato «comprato» da Netflix con un contratto da trecento milioni di dollari). Le serie FX arrivano spesso anche in Italia, sul canale Fox disponibile nel pacchetto Sky: abbiamo goduto l’audace (e imperdibile) Atlanta; The Chi ideata dalla geniale Lena Waithe; American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace; The Strain; The Americans; Legion; Sons of Anarchy e molti altri titoli con piccolo o grande seguito. La serie di Murphy, Falchuck e Canals sulla ball culture invece non è stata comprata quest’anno, dunque non l’abbiamo vista. La ragione è da imputare a questioni non di natura ideologica – su Fox proprio ieri ha debuttato Butterfly, miniserie inglese su una bambina transgender che ha già fatto sollevare le sopracciglia dei benpensanti – ma pecuniaria: Pose in Usa non ha, in effetti, portato grandi ascolti al network (siamo comunque sotto il milione di spettatori) ma essendo una serie d’autore era comunque cara, dunque l’investimento non è probabilmente stato ritenuto utile in Italia a fronte di altre spese per serie più adatte al mercato locale. Non la vedremo per il momento neppure su Netflix, Amazon Prime Video o Sky Atlantic. Se non altro ora sappiamo che nei primi mesi del 2019 diventerà disponibile per il pubblico italiano sul servizio di streaming a noleggio Chili.
Nessuna nomina ai Golden Globes per le attrici transgender
Difficile non notare che le brillanti attrici protagoniste di Pose – che finalmente offre il ruolo di persone transessuali a persone realmente transessuali – non sono state nominate ai Golden Globes sebbene lo avrebbero meritato. La serie che, come si diceva, è stata candidata nella cinquina di Miglior serie drammatica ha, sì, una nomination anche tra i Migliori attori in una serie drammatica con la candidatura di Billy Porter, ma un riconoscimento ufficiale alla bravura delle tre interpreti principali è mancata. È possibile ipotizzare – ancora – l’imbarazzo della Hollywood Foreign Press Association che presiede alla manifestazione nell’includere attrici che non ricadono nello spettro del cosiddetto binarismo di genere: basti ricordare che la diversità continua ad affermarsi con fatica tra le condicio sine qua delle grandi premiazioni. Solo quest’anno, per esempio, gli Emmy hanno contemplato un’attrice asiatica come Sandra Oh nella categoria Migliore attrice protagonista di una serie drammatica per la prima volta nella storia; e le donne dietro la macchina da presa continuano a non apparire affatto nelle categorie dedicate dei Globes.
Marina Pierri, Corriere.it