Se ne sta su una sedia e per sgranchirsi si chiude a libro, gambe dritte e tese. Settant’anni e non sentirli. Sting li ha compiuti il 2 ottobre e pochi giorni prima ha fatto un concerto pieno di energia al teatro antico di Taormina, primo artista internazionale a esibirsi in Italia post-pandemia. «Ma non c’era stato Zucchero prima di me all’Arena? E se dite che lui è italiano, allora anche io mi sento un po’ italiano», dice l’ex leader dei Police.
Con i mesi che passa a Figline Valdarno è giunto il momento di imparare la nostra lingua…
«Sono pessimo… Parlo in italiano quando sono sul palco e so già cosa dire. Reggere una conversazione è complicato. Ho appena iniziato le Cosmicomiche di Italo Calvino, forse dovrei leggerlo in italiano…».
Il suo nuovo album (esce il 19 novembre) si chiama «The Bridge». Come è nato?
«Durante la pandemia ogni giorno andavo nello studio di registrazione che ho a casa dalle 10 all’ora di cena. Nelle mie canzoni nasce prima la musica che poi mi racconta una storia che io traduco in versi. Mi sono reso conto alla fine che tutti i personaggi di questi brani erano in qualche modo in transizione, tra vita e morte, malattia e salute… Tutti noi lo siamo e abbiamo bisogno di un ponte, non di ferro ma metafisico, che ci porti in un posto più sicuro».
Su quale ponte sta lei?
«Quello fra i 69 e i 70 anni è duro e interessante. Devi accettare di invecchiare: o invecchi o muori. Allo stesso tempo mi chiedo come possa essere così vecchio? Sono orgoglioso dei miei anni, non li nasconderei mai, ma non mi sembra di essere a 70».
E quelli attraversati?
«Quello dalla povertà al successo è stato tosto. Ho imparato che non puoi paragonare felicità e successo. La prima viene dai rapporti, l’altro è legato ai soldi».
Il ponte artistico?
«Ero in una band al massimo del successo e l’ho lasciata. Decisione non logica, spericolata, ma giusta secondo il mio istinto. Non ho rimpianti. Ora punto a fare quello che sto facendo fino a che non sembrerò ridicolo. Vorrei fare come Aznavour: ha cantato fino all’ultimo giorno».
La Bibbia è spesso stata una sua fonte di ispirazione. Qui nei testi cita Giona e il libro dei Numeri. Da dove viene questa spiritualità?
«Più che spiritualità è cultura religiosa. Sono stato cresciuto da una famiglia irlandese-cattolica fra scuole cattoliche e catechismo. L’inglese che si legge nella Bibbia di re Giacomo, traduzione dall’ebraico del XVI secolo, è uno dei più belli di sempre e mi è sempre stato di ispirazione».
L’amore è il tema principe delle canzoni. Come cambia nel corso di una vita?
«Quando lo canti a 15 anni non ne sai nulla. Alla mia età hai sperimentato tutto lo spettro delle emozioni e puoi scriverne con sincerità. Scrivere “io ti amo e tu mi ami” è noioso, è un cerchio chiuso. Mentre “io ti amo e tu ami un altro” dà tridimensionalità al problema. Mi interessano le situazioni non ideali».
La sua sembra perfetta: con Trudie Styler state assieme dagli anni 80…
«…ma ho avuto esperienza di amore meno sano».
«Hills on the Border» parla di confini, di chi non vuole condividere pesi… una metafora dei migranti cui chiudiamo le porte in faccia?
«Non nelle intenzioni. Sono cresciuto in una zona dove hanno combattuto inglesi e scozzesi, vichinghi e sassoni, ma parlo dei confini metafisici che ognuno di noi si trova ad affrontare. Quanto al problema migranti non può essere solo dell’Italia o della Grecia, ma di tutta Europa. Da un lato c’è necessità di controllare i confini, dall’altro quella di essere umani. Così com’è non funziona, ma ci vogliono volontà politica e soldi».
In «Bells of Saint Thomas» cita un quadro di Rubens ad Anversa. San Tommaso voleva vedere per credere, oggi qualcuno non crede nemmeno all’evidenza scientifica. Come la vede?
«La scienza non è infallibile, bisogna poterla mettere in dubbio, ma questo apre a teorie cospirazioniste e altre sciocchezze. Quando si arriva al populismo però inizio ad avere paura. Sto leggendo molta storia romana e vedo parallelismi fra quello che succede oggi e la fine della repubblica: populismo, propaganda, bugie, violenza. La democrazia liberale è qualcosa di fragile e possiamo perderla in un batter d’occhi».
Andrea Laffranchi, corriere.it