Nelle sale italiane il 22 novembre la nuova versione della storia dell’arciere “che ruba ai ricchi per sfamare i poveri”
“Cosa ci salverà dal baratro? Lo spirito di Robin Hood che dimora in ciascuno di noi”. Jamie Foxx si sdraia sulla poltrona di un hotel a Manhattan e tira un sospiro: “So che molti, in America, vorrebbero aggrapparsi alla vetta di un monte e scappare. Ma vi chiedo un ultimo atto di fede”. Quando incontriamo l’attore, cantante, produttore americano Jamie Foxx, 50 anni, le elezioni di metà mandato di Trump sono alle porte. “Si dice che il capitalismo stia distruggendo l’arte ma non è così” commenta. “Cinema e musica restano luoghi d’incanto. Ogni cosa, negli Usa, nasce da una base d’innocenza. Le nostre intenzioni sono sempre buone”.
Il suo ritratto di Ray Charles nel 2004, tra sassofono e lenti nere, gli è valso un premio Oscar: “Dopo sei ore di protesi agli occhi, diventi cieco e ti restano soltanto le orecchie. Il colore della pelle non esiste più per nessuno”. Lo stesso anno arriva la nomination per Collateral accanto a Tom Cruise (Foxx frequenta Katie Holmes, ex moglie di Cruise, dal 2013), seguono Jarhead, il ruolo di Curtis Taylor Jr. in Dreamgirls, il detective Ricardo Tubbs nella trasposizione di Miami Vice, fino a Django Unchained: “Quentin Tarantino è un gentiluomo. Si fermava dopo ogni scena a chiedere a me e a Kerry Washington se stavamo bene, a costo di rallentare le riprese. Andare al galoppo sembra una passeggiata, invece dentro di me pregavo Gesù di farmi scendere”. Jamie Foxx dal 22 novembre torna in sella con Robin Hood – L’origine della leggenda, targato Leone Film Group e Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution.
Foxx, è ancora attuale la leggenda di Robin Hood?
“Lo è, al pari del programma televisivo American Greed (Avidità Americana) da cui sono ossessionato. È una serie true crime di CNBC che esamina il lato oscuro della società capitalistica e mostra come certe persone sarebbero disposte a tutto per il denaro. Gli Stati Uniti avrebbero bisogno di un nuovo Robin Hood che ruba ai ricchi per donare ai poveri, e rimetta ordine nella gerarchia del sistema monetario. Alla fine, le degenerazioni che vediamo, ruotano tutte attorno a una sola cosa: il potere. Lo spirito di Robin Hood vive nei disperati in fila per un piatto di cibo, in quelli che scendono in piazza a protestare contro le ingiustizie, nelle donne che denunciano le molestie, nei giornalisti che lottano per la libertà di informazione e di opinione. Vedo parecchi Robin Hood di questi tempi”.In che modo fa del bene?
“Mia sorella, DeOndra Dixon, ha la sindrome di Down. Mia madre, quando crescevamo in Texas, l’ha sempre iscritta a scuole per persone normali. Non l’ha mai buttata in pasto a classi per persone con bisogni particolari. Ha imparato a scrivere, leggere, cantare, giocare. È una ballerina formidabile, ha girato un video di danza che ha fatto il giro della comunità Down. “Chi è questa ragazza?” domandavano tutti. Da quel momento c’è chi ha iniziato seriamente a investire per la ricerca su ballerini con la sindrome di Down e portatori di trisomia 21. Otto anni fa la ricerca toccava punte di 200mila dollari, oggi siamo a 30-40 milioni di dollari. Quando ho realizzato il video musicale di Blame It, tratto dal mio terzo album, Intuition, mia sorella mi ha detto: “Fratellone, mi fai ballare nel tuo video, vero? Non dimenticarti di me”. A vederla in azione c’erano Quincy Jones, Samuel L. Jackson e T-Pain. Tutti a bocca aperta. Quincy riprende fiato e dice: “Jamie, voglio metterti in contatto con la fondazione nazionale per persone Down”. Poco tempo dopo, mia sorella era ufficialmente una delle loro ambasciatrici. Mi commuove pensare alla sua forza, al suo sguardo. Il nostro amore è incondizionato”.
Ha un mentore?
“Sono il figlio di put**na più fortunato al mondo. Il mio maestro si chiama Quincy Jones e ho un chiaro ricordo di lui seduto in casa mia mentre racconta com’è stato lavorare con Barbra Streisand. Poi ho in testa Denzel Washington sbracato in soggiorno che, simpaticamente, dice a tutti di andare al diavolo. Sono sempre stato circondato da persone eccezionali con una profonda conoscenza della musica e del cinema. Ora mi sento quasi in dovere di restituire il favore e tramandare ai più giovani gli insegnamenti che contano”.
Chi sono secondo lei le giovani promesse?
“Michael B. Jordan, l’Adonis Creed nel seguito di Rocky, ha gli occhi di uno che è eccitato per lo showbiz e sa che questo è un mondo fatto su misura per i pugili. I suoi occhi sono sempre vigili. Quando l’ho incontrato, ho detto: “Questo qua ha la magia dentro”. Il ruolo di un artista non è solo quello di raccontare storie e appassionare il pubblico; c’è un passaggio di consegne e di lezioni, prima o poi, che rende l’industria un posto migliore. Un altro prodigio è il protagonista di Robin Hood, Taron Egerton. L’ho sentito suonare il piano in una stanza per prepararsi a diventare Sir Elton John in Rocketman. Senza parole. Io ascolto e venero Elton John da quand’ero ragazzino”.
Lei è un fan di Elton John?
“Immaginate un bambino afroamericano in Texas seduto davanti al televisore a guardare Soul Train, il programma di musica dove ho conosciuto per la prima volta R&B, hip hop, funk, jazz e gospel. All’improvviso appare questo marziano bianco e inglese che suona Bennie and the Jets. Un fatto straordinario per uno show black. Dopo John, accoglierà nei suoi studi anche David Bowie e i Bee Gees. Dentro la musica di Elton John si nascondeva la mia stessa rabbia. Mi sono riconosciuto in lui. Ho trovato un mio simile”.
È per questo che ha dato vita a un talk show digitale dal nome Off Script?
“Sentivo il bisogno di ritagliarmi una nuvola con le persone che amo e che stimo: da Denzel Washington a Jeremy Renner, da Sarah Silverman a Benicio del Toro e Vince Vaughn. Le loro voci sono la mia America”.
Si sente a casa in America?
“Mettiamola così: è il posto dove il dialogo non mancherà mai. Ognuno può andare in strada a manifestare pacificamente e dire ciò che pensa. Non è un sistema perfetto, lo so. Ma ci stiamo lavorando. C’è un bilanciamento tra yin e yang”.
Anche sotto questo presidente?
“Io mi sono svegliato e adesso guardo solo al buono della vita. Ci sono dei momenti in cui le ingiustizie diventano troppo forti e allora scendo in battaglia, reagisco, lotto, faccio sentire la mia voce”.
Nella sua canzone, Heaven, parla del suo rapporto con Dio e dice “Il Cielo non sarà più lo stesso”.
“È uno dei miei brani più personali. C’è il chi sono e il da dove vengo. Il mio DNA. Io penso che il Paradiso sia fantastico, di qualsiasi religione tu faccia parte. Nulla mi spaventa della spiritualità perché mi riporta al puro istinto umano, alla preistoria, alla fame, alla voglia di fare l’amore al mattino. E alla sensazione che ci sia qualcosa nell’universo, oltre a noi”.
Filippo Brunamonti, Repubblica