Il leader del gruppo sciolto nel 2011 rompe il silenzio: «Non ci sarà mai una reunion» E anticipa: «Penso alle mie sculture ma sto avviando nuovi progetti discografici»
Basta ancora una semplice occhiata. Michael Stipe e Mike Mills fanno pugno contro pugno. Un segnale di intesa, di un’amicizia cementata da 30 anni di musica con i R.E.M., la band che negli anni 90 portò il rock alternativo ai vertici delle classifiche e nel cuore di Mtv, senza compromessi e senza svendersi.
La band celebra i 25 anni di Out of Time, successo globale da 18 milioni di copie, con una versione rimasterizzata arricchita dalle demo da cui presero forma le canzoni, da un concerto radiofonico del 1991, dai videoclip e altro materiale (esce domani).
La ricorrenza e il pugno non vanno letti con l’ottimismo del fan. Lo scioglimento annunciato nel 2011 («Nessun rimpianto — dice Mills —. Ci sono voluti due anni dopo per capire chi fossi ma era il momento giusto per la decisione giusta») non è in discussione. La reunion non è nemmeno un’opzione. «Perché dovrebbe?», chiede Stipe, barba da santone.
Paura della nostalgia? Di tornare in un mondo che è cambiato, dove vincono le hit in streaming e i concert col cellulare in mano?
«Più semplicemente pensiamo che il modo migliore per difendere l’eredità dei R.E.M. sia riconoscere di aver fatto qualcosa di unico, restare quella bellissima cosa che eravamo e non rovinare la memoria per una questione di ego, soldi o perché la gente vuole uno show, anche uno solo, in più».
Cosa è «Out of Time» per voi?
«Avremmo potuto continuare a fare quello che facevamo prima per il resto carriera, scrivere sempre la stessa canzone come fanno molte band di cui non faccio il nome. Invece gettammo il passato dalla finestra. Fu un disco di trasformazione».
Che portò la cultura alternativa nel mainstream…
«Il titolo Out of Time (fuori dal tempo) diceva che non eravamo in sintonia con la cultura pop del momento e con la direzione in cui andava la musica. Siamo stati iconoclasti, integralisti anche se non mi piace la parola».
«Losing My Religion» divenne un tormentone mondiale. Eppure è una delle canzoni più equivocate di sempre: non parla di smarrire la fede…
«E pensare che era mio intento comunicare storie e sentimenti in modo chiaro… Parla di sfida, ma cantala in un Paese cattolico ed ecco una hit (ride). È arrivata in un momento in cui la gente iniziava a farsi domande sul ruolo della religione organizzata, che non era il tema del testo, sull’impatto che le scelte politiche e personali hanno sulla società. È arrivata al momento giusto, quando sembrava che il mondo stesse crollando».
E il mondo di oggi?
«È crollato, finito».
Quanto pesa la vittoria di Trump in questa risposta?
«Sto ancora provando a riprendere fiato dopo il risultato. Mostra quanto i sistemi siano arrivati a un punto in cui la gente si sente disconnessa dalla propria cultura e dall’economia. È stato un voto di protesta contro l’establishment e Washington. La scelta di Trump è strana, ma in un mondo governato dai media post reality tv ha un senso. Trump è la versione americana di Berlusconi o di Marine Le Pen».
Arriverà una nuova ondata di musica di protesta, di rock impegnato?
«Credo di sì. L’artista vero deve commentare il momento in cui vive, guardare avanti e dare un senso a quello che c’è di assurdo o sbagliato».
I R.E.M. divennero, soprattutto dopo il suicidio di Kurt Cobain, la guida di una generazione. Ve ne rendevate conto?
«No. Se pensi di ambire a quel ruolo non ci arrivi senza rinunciare a essere te stesso. Kurt era un amico. Non fu una cosa inaspettata ma nemmeno inattesa. Ricordo i nostri discorsi privati e i suoi pubblici apprezzamenti per la nostra musica. È stato un onore godere di questo ma allo stesso tempo fu tremendo”.
Dal 2011 Peter Buck e Mills si sono dedicati ad altri progetti musicali. E lei?
«I Fischerspooner (un duo elettronico ndr) mi hanno chiamato per dei consigli e sono finito a co-scrivere e produrre tutto il disco che uscirà in primavera: si sentirà la presenza di Michael Stipe».
Primo passo per un disco solista?
«A fine dicembre esporrò in una galleria di New York una mia scultura in bronzo e altre produzioni che non hanno a che vedere con la musica. Che è tornata a interessarmi».
Questa è l’ultima intervista dei R.E.M.?
«(Ride) L’ultima è stata 5 anni fa. Qui siamo Michael e Mike che rappresentano un’entità chiamata R.E.M.».
di Andrea Laffranchi, il Corriere della Sera