L’apertura della Festa del Cinema di Roma ha il sapore di Lynch e Tarantino

L’apertura della Festa del Cinema di Roma ha il sapore di Lynch e Tarantino

La Festa del Cinema di Roma parte in maniera casual, con un noir stilizzato che ha qualche pretesa ma rimane pur sempre film di genere, senza paludamenti da festival in uniforme impegnata. Film di apertura rigorosamente a stelle e strisce, ton sur ton con Antonio Monda, direttore in carica della rassegna. Si tratta di Bad times at the El Royale (7 sconosciuti a El Royale), scritto, diretto e prodotto da Drew Goddard e impreziosito da Jeff Bridges, che farebbe sempre piacere vedere se non si fosse fossilizzato, da qui all’eternità, in zona Lebowski. In controluce, si può leggere il film come metafora multipla: il regista insiste sulla redenzione. Il rischio è che, se si applica la metafora alla Festa e alla sua scelta di avvio, Bad times at the El Royale coi suoi tanti “vorrei ma non posso”, più che un biglietto da visita, diventa un boomerang. Per il claustrofobico gioco al massacro tra i sette personaggi del titolo, vorrebbe essere tarantiniano ultima maniera alla The Hateful Eight, e vorrebbe essere lynchiano per surreale décor, tappezzerie e arredi rigorosamente anni Cinquanta. Non a caso, tra i sette, compare Jon Hamm, il Don Draper di Mad Men. Non è, ovviamente, nessuna delle due cose e l’unica chance per lo spettatore è aggrapparsi al meraviglioso sussidio della Motown anni Sessanta, grazie ad un provvidenziale juke box e all’ugola d’oro di Cynthia Erivo, già magnifica interprete di The Colour Purple sui palcoscenici di Broadway. Musica d’eccellenza, dunque, perché il film è ambientato nel 1969 della neopresidenza Nixon. La storia. I sette: un agente federale in incognito, un finto prete, una cantante soul in declino, due hippies (tra cui Dakota Johnson), un portiere d’albergo e un capo-setta alla Charles Manson col fascino macho di Chris Hemsworth. Questi personaggi convergono nel lussuosissimo motel in disarmo “El Royale”, al confine tra California e Nevada, tra le illusioni fasulle e il gioco d’azzardo di Reno. Ognuno di loro cerca qualcosa o ne fugge. C’è di mezzo il bottino di una rapina di dieci anni prima, ma anche il passato di un hotel attrezzato per spiare (e ricattare) politici d’alto bordo nelle loro scappatelle clandestine. Il tutto complicato da un “aspirante Charles Manson” a caccia di una pecorella smarrita, che la sorella maggiore ha sottratto al branco. Dagli schermi tv, Nixon spiega perché l’America non può ritirarsi dal Vietnam. Tarantinianamente, dopo due ore e venti spirano quasi tutti. Drew Goddard salva solo la musica, chi la fa e chi la ama. Chi ha resistito fino al the end lo ha fatto per la stessa buona ragione. Lunga vita a Motown: il rhythm and blues è sempre e comunque una benedizione. A prescindere.

Teresa Marchesi, huffingtonpost

Torna in alto