Nel 2017 le vendite in Italia di apparecchi tradizionali sono crollate del 10 per cento. Dall’on-demand agli usi dei millennial, ecco l’ultima rivoluzione del piccolo schermo
Quasi il 10 per cento in meno di apparecchi televisivi venduti tra gennaio e luglio 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non è il clamoroso – 46 per cento registrato dallo stesso istituto di ricerca, GfK, e per lo stesso periodo in Francia, ma è un dato significativo. Lo è soprattutto se si guarda l’andamento delle vendite dell’elettrodomestico per eccellenza su più anni: la tendenza al calo è costante e ha fatto registrare un -12,2 per cento nel 2015, poi un piccolo aumento nel 2016 (+3,7). La risalita è però coincisa con il campionato europeo di calcio, da sempre capace di far anelare a schermi più tecnologici. La corsa all’ultimo modello argina la deriva del mercato: si comprano meno tv, ma spendendo di più. Il prezzo medio per apparecchio acquistato è cresciuto infatti dai 364 euro del 2015 ai 370 del 2016, fino ai 387 del 2017, con gli acquirenti alla caccia della risoluzione superiore dei tv 4K, la tecnologia che ha reso obsoleto il full HD. Tutto questo non basta comunque a sostenere il volume d’affari, calato, come per le vendite, in maniera pressoché costante (-11,4 per cento nel 2015, poi un piccolo rialzo, +5,6 nel 2016 e -5,8 del 2017).
La crisi dei televisori non è però crisi della tv. Soprattutto i millennial sono sempre incollati a uno schermo, che spesso non è quello dell’apparecchio tv. “Il crollo delle vendite è l’effetto di quella che da anni chiamiamo la televisione in qualunque momento e ovunque”, spiega Romana Andò, sociologa della comunicazione alla Sapienza e coordinatrice con Alberto Marinelli dell’Osservatorio Socialtv. “La moltiplicazione degli apparecchi di accesso e degli operatori dei servizi fa sì che oggi si consumino più contenuti – dice l’esperta – ma non soltanto negli spazi domestici tradizionali e nei tempi canonici della visione”. E se all’inizio queste nuove pratiche di consumo si traducevano nello scaricare in modo più o meno legale film e serie da internet, ora ci sono i grandi servizi di streaming ad aiutare coloro che Andò chiama “i fan dei contenuti tv”. “Le pratiche del pubblico più attivo – sottolinea – hanno di fatto anticipato le strategie poi attuate dai maggiori distributori, che stanno trasformando un fenomeno di nicchia in pratiche diffuse. Penso al caso dell’ultima stagione di serie di successo che Sky ha dovuto mettere in onda in contemporanea mondiale, per evitare lo streaming pirata “. Netflix invece gioca ad anticipare l’attesa dei fan, a promuovere modalità di fruizione immersive (binge watching) e realmente costruite sulle esigenze del pubblico”.
Nel bene e nel male l’apparecchio tv è stato il focolare moderno, il totem intorno al quale anche le famiglie con orari più disparati e interessi diversi riuscivano a riunirsi, magari per tifare la Nazionale. E ora? “Lo schermo televisivo non ha perso questa funzione – conclude Andò – sebbene oggi coesistano esperienze di visione assai diversificate rispetto ai tempi, ai luoghi e ai rituali di consumo. L’apparecchio tv tradizionale continua a mantenere il primato tra gli schermi con cui consumare contenuti televisivi: secondo i dati dell’Osservatorio sul 2016, il 74 per cento del campione usa sempre o spesso la tv principale dell’abitazione, soprattutto per tempi di visione che superano l’ora. Non va sottovalutata, infine, la presenza di schermi che garantiscono una condivisione più elettiva, con parenti, amici, compagni o persino sconosciuti ai quali, però, ci unisce la passione per un determinato contenuto. Ricreando così un focolare attorno al quale trovarsi non necessariamente in presenza, ma altrettanto coinvolgente”.
Cristina Nadotti, Repubblica.it