Sarà anche vero che «content is the king», che il contenuto è il vero sovrano del mercato televisivo del futuro, come diceva Bill Gates, ma almeno qui da noi, nella vecchia Europa, la monarchia assoluta dei «kings of contents», i signori incontrastati della produzione globale, da Netflix ad Amazon Prime, da Facebook a Apple, dovranno accettare, bongrè malgré, le regole della monarchia costituzionale.
E piegarsi, in qualche modo, alle direttive stabilite dall’Unione europea che, in materia di tv, cinema, produzione, insomma quelle che, qui in Francia, si definiscono con l’acronimo Sma, Services de médias audiovisuels, è sempre stata, come dire?, di manica larga.
Ora di fronte all’assalto arrembante dei GAFA (iniziali dei colossi americani Google, Amazon, Facebook, Amazon) a cui si è aggiunto l’altro gigante di Netflix, l’Unione ha deciso di mettere un freno.
In due modi: imponendo alle corporation americane, ai «kings of contents», ai signori della produzione, come li abbiamo definiti, di pagare una tassa sui «contenuti» trasmessi sulle reti europee e, in più, imponendo alle reti televisive Vod (video on demand) una quota minima di «produzione nazionale»: il 20% della programmazione dovrà essere «made in Europe», la metà di quanto attualmente impone la normativa francese (il 40%), la più restrittiva o, se si vuole, la più attenta ai bisogni dell’industria culturale nazionale.
Tutto passerà attraverso una sostanziale revisione dell’attuale direttiva sul mercato audiovisivo come ha assicurato il commissario europeo al mercato unico, l’estone Andrus Ansip, intervenendo pochi giorni fa al Festival di Cannes.
L’obiettivo di Bruxelles, ha detto chiaramente il commissario davanti all’affollatissima platea dei giornalisti accreditati alla Croisette, quasi a cercare il massimo della ribalta pubblica su un dossier europeo noto solo agli esperti, è di creare «plus d’equité et de transparence au niveau des règles et, notamment, en ce qui concerne la promotion des uvres européennes», più trasparenza, più equità e, soprattutto, più attenzione (e risorse) per l’industria culturale europea.
Si vedrà martedì prossimo, 25 maggio, se ai buoni propositi del commissario Ansip seguiranno gli atti politici necessari a riformare la direttiva sul mercato televisivo, vale a dire il via libera della stessa Commissione, il passaggio al Consiglio, e infine l’approvazione del Parlamento di Strasburgo.
Non sarà facile imporre alle società televisive Vod e ai «fornitori di contenuti» americani tipo Netflix il pagamento di una tassa (o di un contributo finanziario diretto alla produzione, se si vuole usare un’espressione meno fiscale) per sostenere le produzioni europee, ma al momento, per dirla con l’ex ministro della cultura francese, Aurélie Filippetti, non c’è altra strada per non finire «colonizzati» dai producer d’Oltreatlantico.
Proprio Filippetti, ministro della cultura nel 2014, era stato profetico. Non c’era ancora Netflix nei bouquet delle tv on demand, ma lui aveva già dichiarato guerra agli americani: «Netflix doit se plier aux régulations qui font le succès de nos industries en materie de financement de la création», Netflix deve accettare le nostre regole e contribuire a sostenere la nostra industria culturale: così Filippetti era andato a dire a Bruxelles.
E, oggi, a due anni di distanza, con Netflix (e tutti gli altri) già dentro le mura dell’Europa, Bruxelles passa al contrattacco. Chi vuole trasmettere i suoi contenuti sulle tv europee o ha una sede operativa in Europa (come Netflix in Olanda) deve impegnarsi a sostenere finanziariamente le produzione del Vecchio continente.
In che modo, è ancora tutto da vedere.
Potrebbe essere un finanziamento diretto alla produzione oppure un contributo a un Fondo europeo che, a sua volta, finanzierà le diverse produzioni nazionali, ma senza violare il «sacro principio» del divieto di aiuti di Stato. L’importante è non soccombere ai disegni dei «sovrani assoluti» dei contenuti d’Oltreatlantico.
Giuseppe Corsentino, Italia Oggi