E alla fine, semplicemente, lo ha fatto. Davanti a un pubblico di attivisti e giornalisti, l’attrice Robin Wright ha chiesto di essere pagata come Kevin Spacey per la serie House of Cards, dove interpreta Claire Underwood, moglie di Frank, interpretato da Spacey. Secondo la Wright ben pochi sono i film dove la simmetria maschile-femminile è perfetta e House of Cards è una di questi. E dire che il cachet dell’attrice non era certo basso. Secondo HuffPost Usa, Kevin Spacey avrebbe guadagnato circa 500.000 dollari per episodio per la serie andata in onda nel 2014, un compenso destinato pare a salire successivamente a un milione di dollari a puntata. La Wright avrebbe preso invece intorno ai 420.000 dollari a episodio. Non una cifra enormemente inferiore, dunque. Ma la Wright, che si è unita alla battaglia che diverse star di Hollywood stanno portando avanti contro la disparità salariale tra uomini e donne, ne ha fatto una questione di principio, di parità. E in effetti la domanda è più che giusta: perché io che faccio lo stesso lavoro, con lo stesso impegno e la stessa presenza, insomma a parità di mansioni, devo prendere di meno (indipendentemente da quanto sia questo meno)?
Una domanda che se trasportata alle nostre latitudini diventerebbe ancora più pressante: come ha ricordato persino il papa, la divergenza salariale tra uomo e donna in Italia è un vero e proprio scandalo. Le donne fanno più fatica degli uomini a trovare un impiego e, quando lo trovano si devono accontentare di ricoprire ruoli meno rilevanti e condizioni contrattuali peggiori. Il 27% dei maschi può contare su uno stipendio tra i 1250 e i 1500 euro, contro il 10% delle donne; allo stesso tempo il 42% degli uomini laureati, dopo il diploma, guadagna tra i 1250 e i 1750 euro, obiettivo centrato solo dal 28% delle donne.
Attenzione che questa divergenza non si manifesta tanto nei lavori dipendenti, magari fortemente sindacalizzati, dove pure gli stipendi degli uomini sono più alti perché più alte sono le qualifiche (dirigenti, quadro) ricoperte, ma in quell’area di lavoro precario sconosciuto al mondo sindacale, in cui le donne sono molto di più: tra chi è occupato, il 50% degli uomini ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 27% delle donne (che lavorano più spesso part time, ma nell’80 % dei casi contro la loro volontà). E poi ci sono le disparità impressionanti tra liberi professionisti e libere professioniste: nel caso degli avvocati, le donne guadagnano il 57% per cento in meno; lo stesso vale per le commercialiste e le ingegnere, così come per le architette (poco più della metà).
Eppure, è assai raro sentire le donne italiane chiedere parità di stipendio. C’è anzi, ancora, una forte reticenza, come la paura di non essere all’altezza, unita all’idea che in fondo già avere un lavoro è tanto, chiedere di più sarebbe troppo. Ma chissà cosa succederebbe se tutte noi facessimo come Robin Wright: ad esempio durante un colloquio chiedere non di essere pagata tot, ma di essere pagata come pagherebbero un uomo. Oppure andare dai propri capi non per chiedere un aumento, ma esigere parità di stipendio con il collega che fa le stesse cose. Si comincerebbe a veicolare un’idea che nel nostro paese trova scarsissimo ascolto: e cioè che uomo e donna sono davvero pari, e questa loro parità si esprime anche e soprattutto nel mondo in cui si è retribuiti, una cartina di tornasole, inutile negarlo, del valore delle persone. E magari finirebbe di essere legittimata questa convinzione silenziosa e strisciante ma condivisa (da uomini e donne) per cui è normale, anzi normalissimo, pagare una donna di meno, perché in fondo è già fortunata ad avere un lavoro, in una società in cui ancora una donna su due non ha un’occupazione (guadagnando zero euro pur facendo spesso un lavoro sfiancante tra casa e cura dei bambini).
Servirebbe nel nostro paese un nuovo femminismo, capace di dar voce alle istanze delle donne, lavoratrici e non, capace di far improvvisamente apparire normali cose che invece contrastano con il bieco senso comune. Come ha fatto Robin Wright, appunto: lavoro come Spacey, voglio essere pagata uguale. Così semplice, così rivoluzionario.
Elisabetta Ambrosi, FQ Blog