In realtà ne aveva 22, era il 1969, l’anno dell’allunaggio, di Woodstock e “Space Oddity”. Scandagliando gli immensi archivi che lo riguardano una fan più che sincera – quando sono così i fan finsicono per compiere un lavoro storiografico di valore assoluto – salta fuori questa deliziosa doppia lista di amori e odi del Bowie pre-Ziggy. Ve la proponiamo così come l’abbiamo trovata
La vita di ogni grande fan riservato è messa alle strette dalla morte dell’artista. Posso confermare questa teoria perché negli ultimi tre mesi, da quella mattina dell’11 gennaio quando a occhi appena aperti ho appreso della morte di Bowie, anche i miei modi posati sono stati messi alle strette. A 14 anni sono stata per la prima volta a casa del boss numero uno del fan club italiano di David Bowie, una specie di paradiso terrestre nel quale finii immersa dopo essere stata accompagnata direttamente dai miei genitori che mi attesero poi, vagamente agitati, sotto il portone.
Eravamo un nutrito numero di persone – io ero la più piccola – e intorno a noi campeggiava una quantità di materiale di, su e con David Bowie: decine e decine di copie degli stessi album, alcuni in doppia, tripla, quadrupla copia e altri in edizioni tutte diverse a seconda della nazione, continente per continente. Sui muri poster e locandine, caratteri in cirillico, indecifrabili nomi di venue di concerti in Giappone e ovunque sul pianeta. Fu la mia prima esperienza tossica, qualcosa di potentissimo e psichedelico senza che avessi usato sostanze chimiche. Il volto del mio eroe, di colui che stava modificando la mia vita e la mia percezione del mondo esterno, era replicato intorno a me migliaia di volte in oggetti e forme differenti.
Quello non sarebbe mai stato il mio modo di amare, ma la morte è una livella anche per chi resta e così, da quell’11 gennaio scorso, anche io mi sono circondata di immagini, articoli, oggetti, cartoline, dischi introvabili e dischi trovabilissimi che ho riportato con me per l’ennesima volta.
Intorno a me un numero infinito di immagini salvate su pc o più rare copie fisiche di riviste: dal Melody Maker al Mirror e poi il Record Mirror, Sounds, New Musical Express, Fabolous, Music life. Due cose colpiscono, soprattutto, prendendo visione di questo gran numero di documenti che i fan di tutto il mondo hanno raccolto e messo in rete a disposizione di tutti gli occhi curiosi e affamati: leggere delle uscite discografiche di Bowie che hanno poi fatto la storia della musica come di album contemporanei tra i tanti, immersi nel solito vociare di gente che, come la sottoscritta, giudica o racconta le creazioni altrui e raramente sa o può concedersi la sospensione del giudizio.
L’altra cosa stupefacente è il Bowie ventenne degli esordi, perso nel suo mondo post hippie, in fase di definizione di sé e delle prime forme di lucidità e consapevolezza artistica. Bowie che vive a Beckenham, Kent, in una casetta divisa tra pianoterra e seminterrato, decorata in stile art nouveau, con un letto in stile Regency comprato in pezzi da un rigattiere per 40 sterline e riassemblato da lui stesso. A terra tappeti con motivi decorativi indiani e cinesi, libri dell’illustratore Arthur Rackham sul tavolo della stanza da pranzo e disegni di Montenegro, autore delle scenografie di alcuni balletti di Nijinsky.
Tra un articolo che descrive dunque minuziosamente la sua abitazione, uno dedicato al suo rapporto con le ragazze dal quale emergono tenerezze difficili da riassegnare all’immagine della rockstar – «Non mi basta che una tipa sia bella per invitarla uscire, non è assolutamente così che funziona il mio cervello!» – trovo una poesia di una giovane fan inviata alla rivista per adolescenti Mirabelle e mi finisce tra le mani una piccola lista divertente. Sì, proprio una lista come quelle che oggi raccontano furbescamente tendenze e inclinazioni del mondo del costume e del pop. (Perché quello sicuramente non è cambiato, da allora a oggi, come se non esistesse un’età della purezza del rock.)
Il tema? Ciò che Bowie ama e odia nel 1969, agli esordi della sua carriera.
Ve la ripropongo tradotta, come un documento dolcissimo che ritrae un David Bowie prima di sé, un David Robert Jones che non sa ancora cosa sarà domani. Qualcosa che siamo stati tutti e che difficilmente immaginiamo siano state anche le rockstar, i marziani, gli astri come lui.
AMO:
– L’esperienza emotiva comune che esiste in modo particolarmente vivace nel laboratorio artistico che dirigo vicino a casa mia, nel Kent
– La mia 500 blu scuro, ce l’ho da 18 mesi e non mi ha mai abbandonato, fa 56 miglia al litro.
– Il DIY. Nei miei workshop amo anzitutto fare cose per mia madre, la mia preferita tra quelle che ho già finito è un tavolino da caffè a tre gambe che ha la forma di una tavolozza per dipingere.
– Il paesino di Keston, a pochi chilometri da dove vivo. Lo trovo adorabile: immerso nella natura, pieno di alberi e con un pub che amo dove mi fermo sempre ore a chiacchierare con gente del luogo.
– I saggi sulla società. Il mio autore preferito è Keith Waterhouse.
– I vestiti un po’ pazzi, soprattutto la mia tuta spaziale che è fatta di vero materiale per lo spazio ed è calda d’estate e fredda in inverno.
– Sundmere Romeo, il mio Cavalier King Spaniel nero, marrone e bianco, con un pedigree più lungo delle vostre braccia.
– I film con Dustin Hoffman e l’ultimo James Dean.
– Dedicarmi ai miei quadri astratti che spero sempre comunichino significati romantici.
– Andarmene in giro per il Nord Italia, godendomi paesaggi pazzeschi e chiacchierando con le persone che trovo abbiano uno sguardo verso il mondo e la vita sempre caldo e la giusta prospettiva sulla vita.
ODIO:
– Essere troppo disordinato.
– Quelle ragazze dei film così eccessivamente in mostra, supersexy e finte.
– Quei ristoranti in cui ti mettono tantissima maionese nell’insalata, non curandosi del fatto che potrebbe anche non piacerti granché – e a me, ad esempio, non piace affatto!
– Tutti i drink troppo alcolici, diciamo quelli con più del 20% di alcool.
– La gente in carriera che si lamenta di viaggiare troppo, del cibo che gli tocca mangiare e di tutte quelle altre cose che uno sa benissimo di dover sopportare quando decide di diventare devoto al business.
– Gli hippie intolleranti. Suppongo di essere stato e forse di essere ancora hippie, ma sono sicuro che questo movimento sia diventato un po’ eccessivo in tutta una serie di cose.
– L’aria condizionata che mi fa ammalare anche se io cerco sempre di fare di tutto per non ammalarmi.
– Gli oratori politici e la maggior parte delle trasmissioni dedicate ai tizi dei partiti politici che discutono tra loro.
– Le classifiche e il modo in cui funzionano, penso e penserò sempre che avere un grande talento sia molto più importante di avere una hit in una di queste maledette classifiche.
di FRANCESCO PACIFICO, Il Sole 24 Ore Magazine