La regista Domee Shi svela il silenzio che circonda le mestruazioni e getta uno sguardo sul controverso rapporto madre figlia
Red, le emozioni della pubertà
A differenza di quanto accade nel nuovo film della Pixar, Red (su Disney Plus dall’11 marzo) nella vita non ci sono panda rossi giganti (o almeno non sempre), e le prime mestruazioni per una ragazza implicano sempre una certa dose di trauma. Spesso “invisibile”, quando non un vero e proprio tabù, è un momento su cui grava un certo peso sociale, e che comporta una certa pressione per le adolescenti, che improvvisamente si sentono dire “Ora sei una donna”. Quello della prima mestruazione è un rito di passaggio che avviene sempre in un momento imprevisto e non sempre desiderato.
Scritto e diretto da Domee Shi, al suo debutto alla regia di un lungometraggio, Red – racconto di formazione adolescenziale al femminile, in cui la tredicenne Mei Lee si trasforma in un panda rosso gigante quando perde il controllo delle sue emozioni – ha suscitato entusiasmo tra le donne di tutte le età. Il gruppo di amiche disegnate da Shi e dalla production designer Rona Liu, così come la madre, la nonna e le zie della protagonista, rappresentano un’ampia gamma di personaggi femminili in cui riflettersi. Con loro scrutiamo l’abisso della pubertà attraverso la metafora cinematografica delle mestruazioni, ma anche il modo in cui questo abisso si frappone tra una madre e una figlia. Perché le mestruazioni non sono l’unico tabù affrontato nel film.
Il rito di passaggio della prima mestruazione
Se succede troppo presto, quando la stanza è ancora piena di giochi da bambini, la pressione e il disagio sono insopportabili. Se il momento arriva tardi, quando tutte le amiche lo hanno già vissuto, la pressione si trasforma nella preoccupazione che “qualcosa non va”. Quel peso intangibile su ragazze e adolescenti ha molto a che fare con il modo in cui questo passaggio è legato all’età adulta, con la promessa di libertà di azione e decisione, ma anche con le connotazioni di pericolo ereditate da secoli di patriarcato in cui la desiderabilità può diventare una questione di vita o di morte.
Tra euforia e paura, si srotola nel silenzio un caleidoscopio di sensazioni intense. Dietro le porte chiuse, le conversazioni sussurrate, le mani che si infilano rapide e discrete nello zaino alla ricerca del tampone, che porteremo di nascosto in bagno. Naturalmente ci rendevamo conto dell’irrazionalità di questo comportamento, senza tuttavia capirne le ragioni, ma fuori nessuno ne parlava e l’unico messaggio esplicito che circolava diceva: ora sei una donna, e devi comportarti come tale. Mantenere la farsa che le mestruazioni sono qualcosa di cui non si può parlare è parte dell’accordo. Ed è veramente stupido.
Pubertà: le difficoltà della relazione madre-figlia
La protagonista Mei Lee scopre un certo piacere e soddisfazione nel lasciare uscire l’animalità del panda. La scoperta di questo nuovo lato di sé è ostacolata costantemente dalla madre iperprotettiva e dal suo invito alla calma, alla discrezione e alla moderazione. Ed è qui che Shi svela un altro grande tabù, oltre a quello della pubertà femminile, perché non solo c’è un vuoto di informazioni sulle mestruazioni e sui cambiamenti ormonali che le ragazze attraversano, ma anche la relazione madre-figlia diventa un altro pellegrinaggio solitario e inospitale.
In generale, tutta l’esperienza dell’essere madre si svolge in un vuoto silenzio. Spesso le uniche voci convalidate come autorevoli sono investite di poteri maschili, racchiuse in discorsi scientifici elaborati da uomini che impongono uno sguardo condiscendente su qualsiasi altro approccio all’esperienza materna, anche se è testimoniato in prima persona. Metaforicamente, molte conversazioni reali su questo tema devono spostarsi in cucina. Cioè, secondo impostazioni sufficientemente private e domestiche da non entrare in conflitto con la solenne verità delle cose enunciate dagli esperti del settore.
Non c’è da stupirsi allora che Ming Lee, la madre di Mei, si senta sola nell’affrontare questo momento nella vita della figlia, priva di informazioni e strumenti per aiutarla. Non c’è da meravigliarsi se fallisce e inciampa miseramente. Se cerca di approfondire l’argomento, può solo aggrapparsi alla sua esperienza personale, e al modo in cui la sua stessa madre ha agito a suo tempo, impotente come lo è lei ora. Il silenzio e il tabù sembrano l’unica via d’uscita, la negazione di questo enorme animale mitologico che scuote tutto. La madre cerca di raggiungere Mei senza sapere che tutto quello che può offrirle è proprio quello che lei sta tacendo.
Gli argomenti sull’esperienza materna sono scarsi e insufficienti. La disinformazione è la norma perché dietro c’è la mancanza di volontà di investire nelle realtà, nei problemi e nei traumi delle donne, ed è per questo che anche questo film tarda ad arrivare, anche se oggi lo accogliamo con entusiasmo. Le voci esperte della medicina e della pedagogia non forniscono una risposta all’immensa complessità e diversità dell’esperienza materna, ma dobbiamo comunque scrollarci di dosso la paura di prospettive e approcci nuovi e diversi. Nel femminismo c’è ancora molta strada da fare, perché né la maternità essenzialista che è in voga oggi né le posizioni precedenti, che consideravano l’esperienza materna come un ostacolo sulla strada dell’indipendenza femminile, sono cliché in cui ogni singola madre del mondo può riconoscersi. Ci sono tante esperienze materne quasi quante sono le donne del pianeta, forse di più. Non solo è il momento di celebrarle nella loro molteplicità, ma è anche il momento di ascoltarle, ed essere pronte a farsi scuotere dalla ferocia del panda rosso.
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