Il debutto a Monaco di un tour già «sold out» Sul palco l’artista scherza e suona la chitarra
Dopotutto «vita ce n’è», eccome, nel nuovo concerto di Eros Ramazzotti. L’ha dimostrato l’altra sera a Monaco nella prima di una ottantina di date (per ora, ma diventeranno più di novanta) in giro per 32 paesi del mondo. In attesa di girare l’Italia dal 2 marzo al PalaAlpitour di Torino, ha festeggiato i 35 anni di carriera con il primo pubblico internazionale che lo ha consacrato, quello tedesco, conosciuto per la prima volta subito dopo la vittoria al Festival di Sanremo del 1986: due show tutti esauriti per oltre trentamila persone (ieri sera il secondo) tra le quali gli italiani erano una percentuale bassa e fisiologica, a conferma che anche qui è una superstar. «A me interessa soprattutto mandare a casa la gente soddisfatta dopo ogni mio concerto», ha spiegato dopo in un camerino dell’Olympiahalle. Oltre due ore di musica. Venticinque canzoni. Un Eros nuovo.
A bordo del nuovo disco Vita ce n’è, appunto, ha trovato in scena forse l’equilibrio definitivo tra la sua indole romana, scherzosa e divertente, e la dimensione internazionale. Ci sono le frasi sibilline («ci sono tanti politici che parlano, noi facciamo i fatti», pronunciata in italiano) e le battute («Questo l’avete costruito per Pupo», in riferimento al pianoforte troppo piccolo). Ma c’è anche un livello musicale sempre medio alto.
Per capirci, sul palco, nonostante una voce a volte non cristallina («Con questo tempo, prima freddo e poi caldo, era prevedibile…») Ramazzotti ha mescolato la propria natura con una band che riesce a dare più profondità al suo repertorio. Merito anche del batterista Eric Moore, autentica macchina da guerra che, suonando per anni il funk hardcore punk Suicidal Tendencies, ha sviluppato un chirurgico senso del ritmo: «È difficile stargli dietro», scherza Eros, uno dei pochi a investire concretamente sul virtuosismo dei propri musicisti. Insomma, sin dal gigantesco Albero della Vita che appare sui due megaschermi durante l’iniziale Vita ce n’è («È un’esortazione a godersi la vita, che è il bene più prezioso che abbiamo»), passando per riferimenti all’inquinamento ambientale (una scritta recita: «Nel 2025 nei mari ci sarà più plastica che pesci»), il concerto ruota sostanzialmente su tre cardini. Il primo è più rock, con Ramazzotti che «assoleggia» con la chitarra in Favola, Stella gemella e Ho bisogno di te: «Grazie ai consigli di Cesareo degli Elio e Le Storie Tese ho trovato un suono nuovo». Poi la chitarra diventa acustica, entra il sax di Scott Paddock in primo piano e, da Terra Promessa fino al tris unplugged Adesso tu, L’Aurora e Una storia importante, si stende uno dei momenti più seguiti. Tra l’altro, in platea non c’è la solita sterminata alluvione di lucine dei cellulari che filmano, segno che qui, in mezzo a un pubblico tedescamente ordinato, c’è più attitudine all’ascolto che in altri posti: «E non c’è neanche bisogno di richiamarlo come altrove, loro seguono la musica così, concentrati».
È concentrata anche la figlia Aurora, che è arrivata con il fidanzato, e si gode da qualche parte la melodia di Buonamore, il brano che il padre le ha dedicato 23 anni dopo L’Aurora: «Auri, questa è per te». Poi, tra una gag e un assolo del batterista, arriva la parte «latina», quella che, da Guadalajara a Buenos Aires, farà scatenare il pubblico sudamericano. Fuoco nel fuoco. Una vita nuova. La nuova Per le strade una canzone (sui video appare Luis Fonsi che l’ha incisa con lui). Insomma fino a una potente Cose della vita e, soprattutto, Musica è che più del solito diventa quasi una «suite».
Insomma, quasi minuscolo su di un palco gigantesco, Ramazzotti ha trovato la dimensione definitiva di «entertainer» che però rimane attento a risvolti sempre più desueti tra le popstar, ossia gli arrangiamenti, la ricerca di virtuosismi, i piccoli tributi a capolavori del passato (ad esempio No woman no cry di Bob Marley). «È da tanto tempo che non facevo così tante date, ma ci riuscirò. Certo, devo tenere un regime di vita preciso, quasi da atleta, ma questa volta suoniamo davvero ovunque, anche ai festival che sono sempre una bella esperienza».
In fondo, che Ramazzotti fosse in forma, si era capito già pochi giorni fa quando è arrivato come super ospite al Festival di Sanremo. E nelle due ore di concerto è sceso simbolicamente in platea e si è divertito al punto da rivelare, dopo, che «era la prima data ma mi sembrava già la ventesima tanto eravamo affiatati». E chissà come saranno alla fine di questo anno in tour con spostamenti pesanti per fusi orari e voli intercontinentali (ad esempio in tre giorni dal 21 al 24 maggio passa da Los Angeles a Miami, dove forse duetterà con Luis Fonsi). Una maratona vecchio stile.
E, dopo la doccia di fine concerto, lui spiega il vero significato di questo tour: «Cantare ovunque in italiano rappresenta bene l’idea di un mondo senza muri». A modo suo, l’altra sera Ramazzotti ha spiegato come lo vorrebbe: ironico e attento alla qualità.
Paolo Giordano, il Giornale