A 1 anno dalla morte del grande Ettore Scola, Sky Cinema Classics giovedì 19 gennaio programmerà in prima serata Brutti, sporchi e cattivi cinica farsa tragicomica con un memorabile Nino Manfredi nel ruolo del padre-padrone di una numerosa famiglia di origine pugliese che vive in una baraccopoli alla periferia di Roma, seguito in seconda serata da Una giornata particolare con Sophia Loren e Marcello Mastroianni
Se si potesse fare un referendum popolare sul film più perfetto del cinema italiano, forse vincerebbe il film di Ettore Scola, Una giornata particolare del 1977. Se poi, se ne facesse un altro per decidere quello più caricaturale, grottesco ma nello stesso tempo veritiero, nella classifica ci sarebbe quasi sicuramente un altro film di Scola. Quel Brutti, Sporchi e Cattivi del 1976 e vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes.
Due film capolavoro che, in occasione dell’anniversario del 1° anno della scomparsa del grande regista, Sky Cinema Classics proporrà ai suoi abbonati. Appuntamento giovedì 19 gennaio in prima e seconda serata.
Naturalmente la scomparsa di Scola, avvenuta lo scorso 19 gennaio ha lasciato un vuoto enorme nel cinema italiano. Nato a Trevico, in Irpinia, nel 1931, Ettore Scola si trasferisce con la famiglia a Roma, dove frequenta il Liceo classico Albertelli. Studente di legge, disegnatore e battutista sul Marc’Aurelio di Ruggero Maccari e poi autore alla radio per le gag di “Mario Pio” cucite su misura per Alberto Sordi, Scola cresce nel cinema italiano come un “ragazzo di bottega”. I suoi maestri sono Ruggero Maccari, Mario Mattoli, Steno, Antonio Pietrangeli ma anche Totò e Sordi. Eppure è a Vittorio De Sica che poi dedicherà il suo capolavoro C’eravamo tanto amati del ’74 ed è al neorealismo che guarderà con Una giornata particolare del 1977, scritto con Maccari da un’idea di Maurizio Costanzo, il punto più alto della sua collaborazione con l’amico Marcello Mastroianni che avrebbe diretto in ben nove film.
Gli anni ’70 coincidono con la massima creatività dell’autore che però firma le sue prime sceneggiature già nei primi anni ’50, conoscendo successi da Un americano a Roma a Accadde al commissariato, da Il conte Max a Il mattatore o La marcia su Roma che preannuncia il suo esordio dietro la macchina da presa: è il 1964, il film è Se permettete parliamo di donne. Un buon successo, una sicurezza del mestiere gli consentiranno di ripetersi La congiuntura e L’arcidiavolo), ma è nel ’68 che, grazie alla garanzia di Sordi, firma il suo primo successo popolare con Riusciranno i nostri eroi. I vizi degli italiani sono in mostra, l’approccio è diverso da quello dei Monicelli e Risi, una vena di malinconia e di solidarietà per i suoi “mostri”.
Dopo Io la conoscevo bene nel 1965, dal ’69 (Il commissario Pepe con Ugo Tognazzi è omaggio indiretto a Pietro Germi) Scola diventa un ‘autore’ a tutto tondo. Da regista ha sempre guardato con disincanto alla sua carriera, eppure film come La più bella serata della mia vita da Durrenmatt, I nuovi mostri La terrazza, La famiglia scandiscono altrettanti capitoli del miglior cinema italiano in una fase storica (l’ultimo terzo del ‘900) che acuiva il declino italiano. “Non mi pare che le cose siano migliorate – commentava di recente -, anzi. Ma mi fa piacere che titoli come La terrazza o La famiglia si vedano ancora, fotografano momenti di svolta importante nella nostra vita, specie il secondo che abbraccia idealmente 80 anni di storia italiana”. Ma era affezionato anche al corto contro il razzismo come 1947- 1997 o al corale Gente di Roma che racchiudeva la sua memoria di romano d’adozione. Di Scola va ricordata l’anima di più ampio respiro europeo, che passa per titoli come Il mondo nuovo (1982), Ballando ballando (1983), Il viaggio di Capitan Fracassa (1990), fino al toccante Che strano chiamarsi Federico del 2013, quasi un album di famiglia strettamente intrecciato al ricordo di Fellini.
Che la politica sia stata sempre la sua passione è facile ricordarlo scorrendo la lista dei documentari che ha firmato: da Viaggio nel Fiat Nam fino a Un altro mondo è possibile e Lettere dalla Palestina (opere collettive dei cineasti italiani del 2002), passando per il toccante L’addio a Enrico Berlinguer del 1984. Scola non si è mai nascosto dietro scelte di comodo, ma non ha mai sbandierato le sue passioni con un gusto della battuta sdrammatizzante che lo accompagnava in ogni apparizione pubblica. “Bisogna saper ridere di sè per ironizzare sul mondo – diceva -. Peccato che ogni anno che passa sia sempre più difficile”.
Era un uomo forte e robusto, il volto da antico romano incorniciato da una barba severa che negli ultimi anni si era imbiancata come la capigliatura leonina. Parlava piano con un eloquio punteggiato di battute sottili che non risparmiavano niente e nessuno, ma sempre accompagnate a una natura gentile che restituiva umanità e calore. Ha vinto a Cannes, a Venezia, per quattro volte è stato nominato all’Oscar e sulla bacheca di casa figurano 8 David di Donatello, compreso quello alla carriera ricevuto nel 2011. Insomma una carriera a tutto tondo, un uomo speciale, un regista unico. Inarrivabile e irripetibile.
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