«In tivù ormai passa solo robaccia L’unico che fa spettacolo è Fiorello»
È morto venerdì a Roma a 94 anni l’artefice dei successi di «Studio Uno» e «Canzonissima». Ora tutti lo celebrano ma avrebbero dovuto sostenerlo quando, per primo, capì che i grandi varietà erano da tempo entrati in coma
(di Cesare Lanza per LaVerità) Lo incontrai, col progetto di un’intervista che poi, per un contrattempo di lavoro, non riuscii a scrivere. Probabilmente meditava già di ritirarsi. E si sfogò, lamentandosi di un intimo disagio, che nell’ambiente molti, stupidamente, consideravano un senile chiodo fisso: «Antonello invecchia, non capisce che i tempi sono cambiati…». Invece, erano i critici malevoli, pettegoli o poco intelligenti, a non capire che l’intuizione di Falqui era straordinaria: il cambiamento non solo c’era, ma era molto di più, era la fine di una stagione storica della televisione. Il grande varietà – Falqui ne è stato il padre e il maestro – era alla fine e lui non voleva assistere alla decadenza e alla sua tristissima fine. Di questo si lamentò e così, successivamente, spiegò i motivi che lo spinsero al ritiro: «I miei spettacoli cominciavano a essere troppo dispendiosi per la Rai, costavo troppo. Ci mettevamo settimane per preparare uno show, oggi invece ti danno due giorni per provare tutto e due spiccioli, sarebbe impensabile. Con l’inizio degli anni novanta in Rai cominciavano a non esserci più i personaggi, le maestranze e i dirigenti del mio periodo…». Ora, nel giorno della sua morte, tutti lo esaltano e lo celebrano. Avrebbero fatto bene a sostenerlo, invece, quando il grande varietà italiano entrò in crisi, anzi entrò in coma, ma nessun altro lo aveva capito, con uguale lucidità. L’Ansa ci ha informato così: «Se ne è andato con leggerezza e ironia, come aveva vissuto e aveva insegnato a vivere a intere generazioni di italiani. La notizia della scomparsa di Antonello Falqui, il padre del varietà all’italiana e artefice del successo di tanti grandi personaggi dello spettacolo, ha fatto subito il giro del web nel modo più singolare: “Sono partito per un lungo lungo lungo viaggio – è il testo di un post apparso sui suoi profili Facebook e Twitter – potete venire a salutarmi lunedì 18 novembre alle n alla chiesa di Sant’Eugenio a viale Belle Arti a Roma. Mi raccomando, niente fiori…”». Immediatamente dopo centinaia di messaggi di cordoglio hanno invaso la rete, personaggi dello spettacolo ma anche tanta gente comune. Ovunque hanno cominciato a rimbalzare gli spezzoni dei suoi varietà, Studio Uno e Canzonissima i più famosi, e i volti dei loro protagonisti: da Mina a Walter Chiari, da Paolo Panelli a Bice Valori, da Franca Valeri alle gemelle Kessler. Pochi giorni fa aveva compiuto 94 anni.
Ecco cosa hanno detto e scritto di lui alcuni importanti personaggi, e cosa dicono e scrivono oggi. Aldo Grasso, il critico più noto e temuto: «Falqui rappresenta l’espressione più alta del varietà televisivo classico: l’eleganza formale, gli ampi e maestosi movimenti di macchina, la proposta del numero “internazionale”, le scenografie sempre vagamente liberty costituiscono certamente il marchio di fabbrica del più formidabile regista del varietà televisivo tradizionale». Fiorello: «Ci lascia il papà del varietà. Il più grande di tutti. Ha fatto sognare gli italiani con i suoi spettacoli». Rita Pavone nella sua autobiografia (Tutti pazzi per Rita): «Aveva una maniera di lavorare che mi piaceva moltissimo. La sua precisione, il rispetto del silenzio durante le prove in studio… All’apparenza ombroso e quasi sempre chiuso in sé stesso, quando si lasciava andare a un complimento o a un sorriso era segno che ciò che aveva visto gli era piaciuto davvero parecchio». E ancora: «Una sola volta in vent’anni, nel 1964, litigammo in maniera furiosa. O meglio: lui se la prese con me per quella che gli parve una mia grave mancanza (avevo fatto aspettare per ben due ore le gemelle Kessler!), mentre io, ignara, ero convinta che gli accordi fossero ben diversi».
Molto interessante ciò che ha detto lui, di sé e di altri. Era taciturno e silenzioso, ma quando parlava diventava esplicito e diretto. E a volte partivano certe staffilate… Una delle sue scoperte fu Mina: «Era fantastica. Aveva un unico difetto, se così possiamo definirlo: le dava fastidio il contatto con il pubblico perché quando andava ad esibirsi alla Bussola di Focette doveva passare tra due ali di persone, che allungavano le mani per cercare di toccarla. Lei odiava tutto questo. L’incontro con Mina mi ha cambiato la vita? In quel momento sì, fu una bella storia. Mina era una donna curiosa, affascinante, un ricordo importantissimo della mia vita. Ritengo abbia fatto bene a ritirarsi dalle scene, un po’ come Greta Garbo. Mina odiava tutto ciò che concerne l’apparato di uno studio televisivo, le diete forzate, il trucco, persino il pubblico. Non ci sentiamo da parecchi anni, anche se mi farebbe piacere riparlarle». Non apprezzò la fiction di Rai 1, dedicata a Studio Uno, C’era una volta Studio uno: «È stata fatta malissimo». A Malcom Pagani raccontò come approdò alla Rai: «Sandro Pugliese, il direttore dei programmi della Rai di allora, era molto amico di mio padre. Si lamentava: “Ho solo verbosa gente di teatro qui. Teorici e parolai. Non c’è nessuno che curi l’immagine”. Non me Io feci ripetere e corsi a Milano per sperimentare. Firmai da regista la prima trasmissione in assoluto della tv di Stato. Si intitolava Arrivi e partenze. L’esordio di Bongiorno. Mike intervistava personaggi celebri in partenza… le più grandi star del momento che erano in partenza o in arrivo negli aeroporti. Era bravissimo a convincerle». Paolo Panelli: «Un genio di comicità e non solo. C’è del genio anche nei suoi meravigliosi quadri in legno». Mastroianni? «Fantastico. Un perfezionista come me. Giorni interi di prove, prima di andare in scena». Rossella Falk? «Con lei feci Applause nell’81, una vera dominatrice del palcoscenico». Sulla televisione: «La tv non è morta e non morirà… gli schermi in un modo o nell’altro rimarranno accesi con qualcosa». Ma è finito probabilmente il varietà, inteso alla vecchia maniera: «I varietà di oggi sono Tale e Quale e Ballando con le stelle. Li guardo senza entusiasmarmi molto. Forse il programma di Milly Carlucci, al sabato sera, è l’unico che mi diverta». Esiste la buona televisione? «Non esiste la buona televisione, almeno non nell’intrattenimento. Oggi la trovo carente. Amo i documentari, ma non esistono più i varietà, non li sanno fare e non li possono fare perché il varietà ha bisogno di tempo per essere costruito e oggi di tempo non ne danno più. Inoltre il pubblico ha ormai il palato guastato, chi guarda il Grande Fratello non guarderebbe Studio Uno».
A Silvia Fumarola che gli chiese: Perché, secondo lei, Studio Uno è diventato un programma mitico? «Perché aveva stile, i protagonisti erano unici. Nella Rai di quegli anni c’era un rispetto del pubblico che oggi non esiste». Negli anni 60 in Italia la star era Mina: «Mina era un diamante, una potenza, ma dietro c’era una macchina al lavoro. Tutta l’Italia era seduta davanti alla tv, più diventi milioni di spettatori. Oggi nessuno pensa e nessuno scrive. In due giorni fanno certa robaccia, d’altronde anche il pubblico è diverso, ci sono venti canali solo della Rai». Ci sono primedonne in tivù oggi? «(Lunga pausa) Già il fatto che ci debba pensare vuol dire che non ci sono». Antonella Clerici? «Per carità». Simona Ventura? «Quella che muove sempre le braccia e gesticola?». Maria De Filippi? «Fa tutto ma non mi piace quello che fa». Lorella Cuccarini? «Ecco, balla bene. Non sforziamoci: primedonne, per come le intendo io, non ci sono più». A Milleluci ha messo insieme Mina e la Carrà. «Mina era Mina, ma lo sa che Raffaella aveva lo stesso indice di gradimento? Aveva una tenacia che ho sempre ammirato». Perché il varietà è difficile da costruire? «Perché è un mix di tante cose: musica, ballo, comicità, stile. Deve rappresentare lo spirito dei tempi, infatti è sparito da tutte le televisioni del mondo. Tale e quale è curato, ma è intrattenimento. L’unico in Italia che fa un tipo di spettacolo che si avvicina al mio ideale è Fiorello. Si dosa e fa bene: la gente si stanca presto. Invece devi mancare al pubblico». Sui suoi genitori… «Papà era Enrico Falqui, un critico letterario che scriveva anche per II Tempo e ha lasciato in eredità il rigore, la precisione». E sua madre? «Mia madre, Alberta, era una donna di casa e da lei ho imparato l’amore». Sulla sua vita privata, confidenze intime: «Ero un infedele, un convinto libertino, mia moglie ne ha passate di tutti i colori». E a Gigi Marzullo disse di essere stato un padre «poco sollecito, forse poco presente». E come marito? «Ho avuto due donne molto comprensive nella mia vita, in tutti i sensi. La prima è la madre dei miei figli. L’attuale, più giovane di me, sposata dopo la morte della mia prima moglie». Sull’amore. Cos’è? «Un feeling che si registra fra due persone, a volte anche misurandosi con il dolore». Su se stesso, regista… «Mi descrivono come un regista pignolo e burbero, forse lo sono stato. L’età mi ha addolcito molto». Il rapporto sovrano con la Rai: «Ho iniziato in Rai la mia carriera: era il 1952 ed ho fatto 754 trasmissioni. Non ho mai tradito la Rai, l’ho sempre sentita a casa mia ed ho sempre avuto ottimi rapporti con i direttori generali, soprattutto con Ettore Bernabei che considero il più liberale in assoluto». La Rai sarà sempre la Rai? «Sì, la Rai è insostituibile perché è molto meno volgare di tante altre televisioni ed intendo per volgarità il cattivo gusto». È sempre stato un uomo libero professionalmente? «Sì, ed è anche per questo che non ho mai tradito la Rai. Ho avuto tante offerte, ma non ho mai accettato. In Rai mi hanno sempre lasciato stare. Forse anche perché non ho mai esagerato». Ha mai pensato di lasciare la Rai? «No, mai». Voleva fare cinema, perché non l’ha fatto? «Perché nel 1952 mi proposero la televisione ancora in fase sperimentale. Successivamente la Rai mi assunse. In fondo, il linguaggio del cinema allora era simile a quello della televisione». Sulla morte… Ha paura? «Ho paura dell’idea di scomparire sì, ho paura della morte e ci penso spesso». Crede in Dio? «No, ritengo che finita questa vita finisca tutto come per qualunque altro animale». Un suo pentimento. «Non ne ho. Perché dovrei averne?». In tv c’è dal primo giorno, ovvero da quel 3 gennaio del 1954 in cui l’elettrodomestico più amato dagli italiani cominciò a trasmettere. È stato il regista di Studio Uno, Milleluci, Canzonissima, Al Paradise, Cinema, che follia! Antonello Falqui, nato e morto a Roma (6 novembre 1925 – 15 novembre 2019), passa alla storia come l’inventore del varietà e ha anche rivoluzionato la commedia musicale. In due parole? Sperimentalista indomito. Come lui, mai più nessuno.