Opere d’arte futuriste appese alle pareti di un salotto arioso. Massimo Giletti ci riceve nella sua magione romana dopo una giornata di lavoro. Partiamo dall’inizio: Massimo Giletti nasce a Mixer. «Ho una fotografia di là: eravamo tanti ragazzini in un mondo nuovo dove la tv iniziava a essere dominus. Per noi c’era un futuro che per un ragazzo, oggi, non vedo. Un conduttore come Minoli poteva investire su uno come me, senza esperienza».
Come nasce la passione del giornalismo?
«Dopo la laurea sono andato in Inghilterra, poi ho lavorato nell’azienda tessile di mio padre. Alla fine ho scelto Minoli: ero attratto da lui».
E come la presero in famiglia?
«Mi dissero che la televisione è per i cretini. Io mi diedi un anno di tentativi dopo il quale, se non fosse andata, avrei cercato un’altra strada».
Giletti ce l’avrebbe fatta, oggi?
«Difficilmente. Poi la mia è stata una ricerca. Le ultime trasmissioni con Zucchero e Mogol lo dimostrano: c’è sempre qualcosa di nuovo su cui cimentarsi. La ricerca riguarda anche l’ amore».
A proposito, si è fatto un gran parlare di sue presunte liaison: prima con la Moretti, poi con Ambra…
«Con Ambra ho un bel rapporto personale che non ha nulla a che vedere col sesso. La Moretti è un altro mondo. Ma non voglio parlarne».
Torniamo alla tv: siamo passati dagli uomini di prodotto a quelli di apparato?
«Chi comanda vuole il controllo del prodotto, non lavorare per esso. C’ è carenza umana che è la risorsa necessaria per fare la tv: abbiamo sperperato un tesoro immenso. Bisognerebbe tornare a investire su risorse umane e meritocrazia».
Cosa pensa delle nomine appena fatte in Rai?
«Son nomine di gente che conosce la tv. A me interessa che chi comanda mi dia la possibilità di produrre bene, cosa che troppo spesso non mi è stata data.
Spero vengano fatte buone scelte e di non dover battagliare per lavorare».
Quanto a produzioni, L’Arena funziona da sempre e Viva Mogol è stato un successo…
«Per Mogol ho fatto un lavoro importante con Gianmarco Mazzi, ex direttore artistico di Sanremo. Esco rafforzato in termini di esperienze».
Altre serate in programma?
«A breve vedrò il direttore generale e capiremo cosa sarà del mio domani».
Talvolta la accusano di populismo: la fa arrabbiare?
«Se evidenziare che un signore che si è seduto per un giorno in un consiglio regionale per questo porta a casa 3 mila euro al mese è essere populisti, allora lo sono e lo sarò».
In Rai si parla di innovazione, ma tornano: Baudo, Santoro e Lerner.
«Non riescono più a formare nuovi conduttori: i giovani non guardano la tv, fanno fatica a capirla. Forse anche per questo è difficile».
Sta dicendo che la tv è stata superata?
«Direi di sì, per questo si ricorre all’usato sicuro».
Su Raidue non c’ è un talk e Semprini sul 3 sta andando male: dov’ è il problema?
«L’errore è a monte: quando hai Floris che è il numero uno del martedì, non puoi perderlo. Sennò perdi anche il pubblico».
Allora non è la formula del talk che non funziona più?
«Io dimostro che si possono continuare a fare 4 milioni di spettatori».
Ma lei fa anche inchieste…
«Sì, forse il nostro è un prodotto contaminato. Penso di poter dire di aver creato qualcosa che va oltre al talk. Non è stato semplice».
In che senso?
«La mia squadra ed io, non siamo amati. Siamo un po’ come gli ammutinati del Bounty: brutti, sporchi e cattivi. Siamo visti così. Ci sopportano perché facciamo ascolti. Ma penso sia giusto: dobbiamo continuare a essere brutti, sporchi e cattivi».
Lei si guarderebbe?
«Sì. I riscontri del pubblico mi fanno pensare che il nostro prodotto sia buono.
Non sono stati sempre momenti facili per me, ma ho tenuto botta».
Sente la responsabilità di essere un volto noto del servizio pubblico?
«Mi piacerebbe che i programmi fatti coi soldi dei contribuenti avessero un bollino, così ci sarebbe un’ ulteriore responsabilità per noi che andiamo in onda coi loro quattrini».
I palinsesti valgono i soldi degli italiani?
«Tutto è migliorabile».
Campo Dall’Orto ha detto che la mission di questo suo mandato è quella di rendere un servizio pubblico educativo, culturale e meritocratico: ci sta riuscendo?
«È una sfida che si deve fare, ma non è detto che si vinca. Io spero ci riesca, sennò ci adagiamo su una tv commerciale che in passato, per non perdere il confronto con le tv berlusconiane, non ha dato frutti interessanti».
A proposito di Berlusconi: abbiamo letto spesso di sue trattative con Mediaset, ma poi è rimasto in Rai.
«Ci sono stati dei contatti, ma ero giovane e avevo paura di far la fine di Mastrota e vendere pentole (ride, ndr).
Oggi è diverso, è ovvio che chi fa milioni di ascolti interessa al mercato».
Perché non se n’è fatto niente…
«All’ epoca pensavo di poter costruire il mio percorso indipendentemente dallo share. Ora sono al mio ultimo anno contrattuale nella tv pubblica e del doman non v’ è certezza».
Che differenza c’ è tra tv pubblica e commerciale?
«Quella di considerare il telespettatore un cittadino e non un cliente».
Ma la logica del servizio pubblico non può fermarsi agli ascolti…
«Sì, ma per chi non li fa non deve diventare l’ alibi.
Essere servizio pubblico è più difficile, oggi. Ma non può essere una scusa se poi non ti guarda nessuno».
Perché Giletti è considerato servizio pubblico e Barbara D’Urso no?
«Basta guardare i programmi per vedere le differenze. Ho rispetto per il lavoro di tutti, ma le polemiche non mi interessano».
Vi siete recentemente scattati una foto insieme: siete così amici?
«Conosco Barbara da tanto, ci rispettiamo: non riesco a vederla come un’avversaria. Volevo avere anche io un conflitto di interessi», scherza.
Sa già cosa voterà a questo referendum?
«Non mi va di dirlo, mi piace essere super partes.
Comunque nessuno mi toglie dalla testa che questo sia un referendum più su Renzi che sulla Costituzione».
Renzi è appena stato a L’Arena. Che impressione le ha fatto?
«È un combattente, come Berlusconi».
Cosa risponde a chi la accusa di avergli lasciato fare un monologo?
«I monologhi televisivi che ho visto sono ben altri.
Ha risposto alle mie domande».
Ha fatto molto, ma non Sanremo. Perché?
«Vianello l’ ha condotto a 76 anni. C’ è tempo…».
Il programma che vorrebbe?
«Mixer, dove sono nato».
di Simona Voglino Levy, Libero Quotidiano