ETTORE SCOLA: “FARE IL REGISTA È UN MESTIERE DA BUGIARDI”

ETTORE SCOLA: “FARE IL REGISTA È UN MESTIERE DA BUGIARDI”

ettore scola scola(Maria Pia Fusco, clinic La Repubblica) Alla Festa del cinema di Roma “Ridendo e scherzando”, realizzato dalle figlie dell’autore: un documentario-omaggio sulla vita, le amicizie e i film che hanno segnato un’epoca.
ROMA – TRE anni di lavoro, ricerca e selezione del materiale, tre stesure di sceneggiatura. Il risultato è Ridendo e scherzando , il documentario su Ettore Scola realizzato dalle figlie Paola e Silvia. “Cambiavamo ogni volta la struttura, alla fine abbiamo individuato i temi e la particolarità di Scola, che tratta anche argomenti molto seri ma sempre attraverso l’ironia, forse per le sue origini di disegnatore umoristico. Doveva essere un documentario da ridere”, dicono le autrici, e ci sono riuscite. Solo alla fine hanno coinvolto il padre. “Ha scartato quello che gli sembrava celebrativo. Poi abbiamo chiamato Pif per intervistarlo, è uno frizzantino, a papà era piaciuto il suo film. Si sono incontrati al Cinema dei Piccoli, dove abbiamo girato l’intervista”.

Ridendo e scherzando , prodotto da Palomar, è l’omaggio che la Festa di Roma dedica a Scola, insieme a La terrazza (1980) nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale. Per Silvia e Paola Scola la partecipazione al lavoro del padre viene da lontano. “Ci è sempre stato vicino, fin da ragazzine ci leggeva quello che scriveva, chiedeva pareri”, ricordano. “Abbiamo sempre avuto case piccole, due stanze e un bagno, quindi era impossibile tenere lontane due ragazzine”, interviene Scola per stroncare il rischio di sentimentalismi. “Una volta stavo lavorando con Risi, Paola entrò con una maschera da diavolo cinese e Dino si spaventò. Comunque non ho mai avuto la sacralità del lavoro, del genere “zitti tutti che papà lavora”. Chissà, se lo avessi fatto, magari sarei diventato un grande regista”.

Non le sembra di eccedere in modestia?
“È che mi imbarazza parlare di me, non mi sento autorizzato”.

Sorrentino ha citato “La terrazza” a proposito di “La grande bellezza”. Che ricordo ha?
“Un film faticoso per il numero di attori in scena. Ma il piacere era di non essere da solo, sentivo l’interesse di tutti, partecipavano anche se lontani dalla macchina da presa. Molti critici scrissero che il film è una serie di sei serate, non avevano capito che era sempre la stessa serata vista da angolazioni diverse”.

“Ridendo e scherzando” parla di lei e anche di autori di allora, che facevano cinema come atto politico, come impegno.
“Purtroppo l’impegno ce l’hanno anche i reazionari, anche il film in apparenza più neutro e innocuo è politico. Walt Disney è poco po-litico? Topolino è un americano reazionario, tradizionale, però è roosveltiano, risponde all’impegno del New Deal e di essere fieri dell’America. Quindi la parola impegno va chiarita con qualche aggettivo, anche nei film sulle vacanze di Natale c’è l’impegno di non parlare di certe cose, è politica anche questo “.

Lei è intervenuto al funerale di Ingrao.
“Ho parlato della sua intelligenza, lo arricchiva, lo riempiva di dubbi, incertezze, per cui il suo operato politico poteva anche essere ondivago o rinunciatario ma aveva un’idea più larga, l’unità era il primo scopo. Ingrao e Amendola erano grandi rivali ma quando Amendola si presentò alle europee del ’79 , Ingrao, allora presidente della Camera, andò ad Avellino per il comizio di chiusura di Amendola: loro sapevano cosa voleva dire stare insieme in un partito”.

Nei suoi film le donne sono spesso protagoniste e nei Super8 di famiglia, mostrati nel documentario, lei cambia il pannolino. Una rarità per la sua generazione.
“Mi piaceva farlo, ma era niente di fronte ai padri di oggi. Per noi non era previsto, neanche ce lo lasciavano fare, Gigliola (la moglie di sempre, ndr ) era in apprensione quando mi occupavo delle bambine. Quanto ai personaggi femminili, l’ho preso da Pietrangeli, ho scritto dieci film con lui, a ogni sequenza si chiedeva cosa fa la donna, cosa pensa. Il suo interesse era letterario, sapeva a memoria il monologo di Molly da Joyce, aveva fatto un saggio sul Bovarismo, s’era dedicato all’universo femminile”.

Per lei è forte il senso dell’amicizia e della gratitudine?
“Io sono molto pigro, perciò il lavoro che ho amato di più è stato lo sceneggiatore. È stato Vittorio Gassman a farmi fare il regista, un mestiere da bugiardo, devi fingere di sapere tutto, ognuno della troupe ha una domanda e vuole la risposta da te. Come se il regista fosse un oracolo, ma anche l’oracolo di Delfi era approssimativo, al povero Edipo disse “vai a letto con tua madre ma lei non lo saprà, ammazzi tuo padre ma tu non sai chi è tuo padre”, si barcamenava. Per faticare meno avevo la complicità e l’amicizia con gli sceneggiatori, le maestranze, gli attori, con tutti. Poi ho avuto il privilegio di conoscere persone migliori di me, Amidei, De Sica, Fellini, che ho potuto emulare, copiare. Il segreto è essere un po’ ladri. Ho rubato da tutti”.

Nel documentario c’è il racconto poco noto del rapporto con Pasolini.
“Dissi a Pier Paolo che avevo maturato da Accattone l’idea di Brutti, sporchi e cattivi e volevo dedicargli il film. Lui suggerì di fare una prefazione filmata, come nei libri un autore fa per uno più giovane. Finito di girare avrebbe visto il film, sarebbe venuto nelle baracche ricostruite e avrebbe parlato del genocidio culturale avvenuto nei dieci anni passati da Accattone . Mentre giravo l’ultima sequenza, con Manfredi, arrivò la notizia che a cento metri dal set avevano trovato il cadavere di Pasolini. È uno dei miei rimpianti”.

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