Francesco Guccini, celebre cantautore e scrittore amatissimo da generazioni di italiani, ritorna oggi con cinque storie che rappresentano una vera e propria Spoon River in prosa di un’intera giovinezza. Questo nuovo libro è un romanzo di formazione composto da diverse scene, simile al breve spazio di una canzone. Il nuovo titolo è “Così eravamo. Giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada” (Giunti Editore, pagine 192, euro 18).
Guccini racconta con impietosa ironia piccole storie sullo sfondo della grande Storia, significative proprio per la loro quotidianità: ogni storia illumina un volto, un’atmosfera, un oggetto, come il portacenere rosso, gadget di una famosa bibita pop, che il giovane sottotenente Guccini riceve in regalo da una ragazza veneta. Grazie alla sua scrittura, questi dettagli triviali diventano prodigiose madeleines che rievocano ciò che non esiste più, riportandoci intatte le emozioni di una vita vissuta tra la guerra e il dopoguerra, tra l’Appennino e Modena. Si guarda a quei tempi con malinconia ma anche con una struggente consapevolezza di aver vissuto stagioni felici.
Il cantautore narra “l’andare a piedi, da casa a scuola, di un bambino delle medie, dove un tuo compagno, quello con la giacca color senape e di cui ricordi a stento il sorriso, muore improvvisamente e non vedrà nulla di tutto quello che è venuto dopo: la televisione, la città che cambia, la musica che farà venire voglia a tutti di ballare. L’andare, in un giornale di provincia, di un giovane montanaro in cerca di lavoro, con una fame nera e un capocronaca cinico che ti scoraggia.
L’andare notturno, alla stazione, di un redattore e di un pittore in cerca di una generosa prostituta da assoldare per sfidarsi in una gara di resistenza, che però è uno scherzo crudele che ti rimane impresso nella mente. L’andare, in tutte le balere, di un orchestrale a suonare fino all’alba, con un giornalista che ti tempesta di domande e vuole episodi piccanti da te che, ora, fai altro. L’andare in gita, alla domenica, di te giovane sottotenente in pausa dalle manovre di due capitani che simulano un rifugio antiatomico, senza accorgerti di un grande disastro che poteva cambiare un destino, anzi due”.
Scrive Guccini: “Quante te ne sono mancate, Colombini, quante non ne hai viste. Meglio così? Noi che ci siamo stati e abbiamo visto e abbiamo vissuto, nel bene e nel male, non lo crediamo: meglio esserci stati, meglio avere visto, avere vissuto, e non essere scomparso come un soffione che a un semplice alito di vento è volato via”.