Venticinque siciliani, un fisico teorico, un cuoco, un parcheggiatore abusivo, un trans, un sarto, una signora che lavora a magli, rivelano cos’è per loro un cannolo nel documentario dell’attrice catanese presentato al Biografilm festival, dedicato a Bertolucci
“Il riferimento è a Magritte che scardinava il significante e significato della parola “pipa” per dargliene degli ulteriori. Io ho voluto fare la stessa cosa con la Sicilia, scardinare il significato e significante e restituire un volto nuovo a quella terra, fuori dal cliché della mafia”. Così Tea Falco sceglie di intitolare Ceci N’est Pas un Cannolo, il docu-film che segna il suo esordio alla regia e che è stato presentato alla quattordicesima edizione di Biografilm Festival (Bologna 14-21 giugno) e andrà in onda venerdì 29 giugno in prima visione su Sky Arte alle 19.45. Difficile però pensare a significante e significato sulle immagini di apertura del film, quando la telecamera indugia su tanti perfetti cannoli sparsi su un tavolo di legno: la ricotta è una crema morbidissima, le scaglie di cioccolato affiorano da quel mare bianco, due soli canditi, uno all’estremità sinistra, uno su quella destra del dolce a forma quasi cilindrica. La scena però cambia presto, i cannoli torneranno ma ora è il momento di presentare i personaggi dai quali muoverà la storia, o meglio le storie dei siciliani che ci ha voluto raccontare Tea Falco. Massimo e Grace sono due moderni Adamo ed Eva, lui chiede a lei di passargli la pera, lei risponde: “l’ho mangiata e comunque era una mela”. Inizia una discussione infinita (andrà avanti per tutto il film) tra i due, su sfondi di volta in volta diversi, a tratti irreali o magici al punto che è Grace/Eva stessa a dire: “io non so se esisto davvero, ma se voi mi state guardando credo di sì”. La loro discussione sulla pera, che in realtà è una mela, è funzionale all’obiettivo della regista: “Ceci N’est Pas un Cannolo è un film sui punti di vista, un tentativo di svelare la natura cangiante della realtà, che muta a seconda dell’osservatore, della sua identità”. A dirci cos’è per loro un cannolo, la vita al di fuori della metafora, sono venticinque siciliani, gente diversa, c’è un fisico teorico, un cuoco, un parcheggiatore abusivo, un trans, un sarto, una signora che lavora a maglia e dice: “arriverà un cataclisma che ci trasporterà tutti in Libia”. Le riprese hanno attraversato l’isola: la cava di marmo di Custonaci, le stradine di Ortigia, l’isola delle Femmine, i quartieri popolari e le case borghesi di Catania. “Ho voluto che il mio primo film fosse un esperimento sociologico – racconta Tea Falco – perché la mia visione della vita parte da teorie psicanalitiche e perché il mio imprinting è questo: il mio desiderio è scoprire le varie tipologie umane per poi rappresentarle tutte in un unico film io stessa come attrice”. Dunque Falco si è allontanata dal set per mettersi dietro la macchina da presa e creare qualcosa che le servisse poi da spunto per tornarci sul set. Il punto di vista è sempre quello dell’attrice: “Ho fatto la regista ma è come se avessi interpretato il ruolo di regista. Non avevo la macchina da presa addosso, ma è stato come se stavolta la mia parte fosse quella di riprendere altre persone”.Il suo primo film da regista Tea Falco lo ha dedicato a suo fratello e a “Bernardo”. Bertolucci è stato il primo a portarla sul set con un ruolo da protagonista, nel 2012, con Io e Te, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Ammaniti. Il “suo” Bernardo Ceci N’est Pas un Cannolo non l’ha ancora visto. Di quella prima esperienza sul set dice: “mi ha insegnato veramente tanto, si è preso molto tempo per spiegarmi cos’è questo lavoro. Improvvisamente tutte le scuole di recitazione che avevo fatto, da quando ho 17 anni, mi sembrava non mi fossero servite a nulla. Si impara a recitare rivedendosi e stando sul set ed è quello che Bernardo faceva: ad ogni scena fermava tutto per rivederla. Questo non lo fa nessuno”. Nonostante le esperienze successive, Sotto una buona stella di Carlo Verdone, o le serie tv, 1992 e il suo seguito, 1993: “ogni volta che faccio un film ho l’ansia da prestazione per i primi giorni, poi mi passa. È quello che diceva Édith Piaf: io ho necessità di esibirmi ancora per sapere che lo so fare”. In 1992 Tea Falco interpreta Beatrice, ragazza dalla vita sregolata, figlia dell’imprenditore Michele Mainaghi, costretta ad assumersi la responsabilità dell’azienda di famiglia dopo che suo padre, coinvolto nello scandalo di Tangentopoli, decide di suicidarsi. Quella storia per la tv ha avuto molto successo, al pari di altre serie italiane quali Romanzo Criminale, Suburra o Gomorra. Tanto che viene da chiedersi se questo presente del cinema italiano è irrevocabilmente anche il suo futuro: “È normale che si parli dei clichè: l’Italia è corrotta, quindi è giusto che si racconti questa parte di storia, dagli anni Novanta ad oggi. Sarebbe bello però puntare più sui personaggi che sulla storia: come ha fatto Garrone con Dogman, ad esempio, o lo stesso Sorrentino con Loro. Qui il contesto è solo lo sfondo su cui si muovono i personaggi”. O come ha fatto Tea Falco Ceci N’est Pas un Cannolo con in cui i protagonisti sono i venticinque personaggi e la Sicilia non è solo mafia, padrino e delitto d’onore.
Giulia Echites, repubblica.it