(Francesco Specchia, recipe LiberoQuotidano)«Portatevi qualcosa di rosso…», sovaldi chiede – quasi invocando un dio shakespeariano- Michele Santoro al suo pubblico per Rosso di sera, l’ultima puntata di Servizio Pubblico (La7, giovedì prime time) in diretta da Largo Annigoni, una piazza fiorentina che evoca l’onore delle armi e la polvere da sparo bagnata dal sangue dei vinti.
«Vinti» è la parola giusta. Perchè -parliamoci chiaro- Santoro e i suoi sono stati sconfitti dai bassi ascolti spoporzionati rispetto agli enormi e -oserei- immotivati costi del programma. Una media di circa 200mila euro a puntata, roba che Porro, per dire, ci fa una mezza dozzina di prime serate. Fino a quando Santoro macinava ascolti monstre per la rete (la media del 10-12%, col boom del 33% nella famosa puntata in cui Berlusconi comparve fiero e vendicativo come un personaggio dumasiano), i suoi costi reggevano. Poi, però, il mondo è cambiato: il nemico è caduto, Renzi non possiede lo standing della nemesi, i talk show serali si sono ferocemente cannibalizzati tra loro; e l’ascolto è calato al 5%. Sicchè, come era prevedibile, Urbano Cairo, che giustamente più che le ragioni del cuore gestisce quelle del portafoglio, ha fatto mollare il colpo al tribuno di mille battaglie. Certo, a Rosso di sera ci saranno ospiti illustri: JAx e la Ferilli, Landini e la Parietti, Piovani e Battiato, la Berlinguer e il mitico Ruotolo. E ci saranno Vauro e marco Travaglio. E ci sarà, immagino, la folla ribollente delle grandi occasioni.
Che va benissimo, per carità. I congedi storici devono avere sempre un chè di teatrale, l’odore dell’incenso e del rimpianto dietro alla scenografia fatta di tubi innocenti e di politica colpevole. Se non fosse che tutto questo format mi sa di deja vu: salvo che nel titolo è la stessa identica scenografia di quel Rai per una notte che qualche anno fa permise a Michele la resurrezione grazie alla syndication di tv locali messa in piedi da Sandro Parenzo, oggi peraltro mai nominato. Oggi però le condizioni sono diverse, e la metafora cristologica forse è un po’ leziosa. Ed è questo il punto: Santoro non s’è rinnovato, vive dei riverbi d’un glorioso passato. Forse ha ragione Carlo Freccero, quando dice che «Michele vorrebbe evolversi in una sorta di Francesco Rosi, un narratore delle vicende umane». Dovrebbe farlo, Michele. Magari, ora che è benestante, badando più al cuore che al soldo…