I diari segreti dell’adolescenza, i pensieri dell’età adulta e la conquista di Hollywood: la prima autobiografia del Premio Oscar Matthew McConaughey, che ha debuttato al numero uno della classifica del New York Times a ottobre, è appena arrivata in Italia con altrettanto successo. Greenlights – L’arte di correre in discesa (Baldini+Castoldi) è, come suggerisce il titolo, un semaforo verde per sbirciare tra i segreti dell’attore. Il tempismo non potrebbe essere migliore perché si fanno più insistenti le voci che lo vorrebbero candidato alla carica di governatore del Texas. Il 51enne attore, che sperava di presentare il suo libro con un tour lungo un anno, è “costretto” a farlo via Zoom.
Le dispiace non viaggiare con il suo memoir?
«Molto: avevo progettato una specie di spettacolo dal vivo, un “one man show”, durante il quale avrei letto i brani del libro, ma niente da fare».
Come trascorre le giornate?
«Nel van parcheggiato nel giardino dietro casa: approfitto del silenzio per fare i collegamenti e raccontare questa nuova avventura. Il lockdown mi ha fatto rimettere a posto le priorità: lavoro ma sto anche con mia moglie e i miei tre figli. Non mi perdo niente».
È sempre stato così sicuro di sé?
«Non so se è questa l’impressione che do, ma io non mi sono mai sentito così, anzi mi sembrava di affrontare sempre la vita a testa bassa e chiedendo il permesso, senza sentirmi mai all’altezza. Poi ho capito una grande lezione: l’umiltà nasce dall’ammettere di avere tanto da imparare».
Parla già come un politico. Il suo è un manuale di strategie?
«Forse è qualcosa di filosofico, al limite religioso, perché racconta le mie scoperte personali e la mia crescita».
Ne ha fatto di strada il sex symbol d’inizio carriera.
«Molti hanno detto che ho rinnegato quel periodo e che ho chiuso con le commedie, ma non è vero, mi piace il genere romantico, ma ho voluto dimostrare di saper fare altro».
Com’è uscito dagli stereotipi?
«Dopo 18 mesi di disoccupazione in cui ho rifiutato tutti ruoli da rubacuori, tutti si sono dimenticati di me e ho potuto ripropormi, rinascere sotto altre vesti e dimostrare di essere anche un interprete drammatico».
L’Oscar per Dallas Buyers Club le ha dato ragione. Ha provato un’emozione simile debuttando in libreria?
«Sono emozioni fortissime ma diverse: il premio è arrivato dopo 20 anni di lavoro, come riconoscimento dei miei pari mentre il libro ha una valenza personale, intima, come un film scritto, diretto e interpretato da me, qualcosa di viscerale, forse la forma d’arte più alta a cui possa aspirare».
Alessandra De Tommasi, Leggo.it