Costanzo, la Rai sia più consapevole della sua storia

Costanzo, la Rai sia più consapevole della sua storia

L’Italia impazzita per Lascia o raddoppia, con la gente assiepata nei cinema per seguire il quiz di Mike Bongiorno. Le gemelle Kessler e le inchieste di Furio Colombo sulla guerra in Vietnam. Le note di Gianni Morandi e la poesia di Ungaretti e Montale. Il primo annuncio del 3 gennaio 1954, in realtà un ‘falso’ ricostruito dieci anni dopo. I promessi sposi di Sandro Bolchi, Un due tre con Tognazzi e Vianello e Il mattatore Vittorio Gassman. “Che bella televisione si faceva una volta”, sorride Maurizio Costanzo, che con Umberto Broccoli rivisita la storia del nostro Paese attraverso lo straordinario patrimonio delle Teche di Viale Mazzini in “Rai, storie di un’italiana”, al via da sabato 16 maggio su Rai2 alle 14 (e in replica in terza serata, “un orario orrendo in cui la gente si prepara per andare a lavorare, preghiamo la madonna dei palinsesti che lo cambi”, ironizza il giornalista e conduttore).

L’idea è nata nei primi giorni del lockdown: “Ho pensato agli italiani costretti in casa, sui divani, in particolare alle persone più avanti negli anni”, spiega Costanzo in un’affollata conferenza in streaming. “Di qui lo sforzo di rispolverare la memoria delle vecchie trasmissioni della Rai, che ha attraversato la storia del Paese. E’ anche un modo per rendere omaggio a questa azienda e a chi l’ha fatta: ho conosciuto tanti direttori generali e c’era una grande passione”, sottolinea Costanzo, che ha sempre definito “la Rai la mamma e Mediaset l’amante”.

Alla nascita del progetto ha contribuito anche la lettera di Pupi Avati ai vertici della tv pubblica per un maggiore spazio alla cultura: “All’amministratore delegato Fabrizio Salini ho suggerito di riproporre, in questa fase in cui i teatri sono chiusi, alcuni grandi sceneggiati del passato, proprio per riabituare gli italiani ad andare a teatro. Lo dico io che ho avuto la fortuna di lavorare con Marchesi, Verde, Amurri, Falqui”. In questo viaggio a ritroso dagli anni del boom ai ’70, fino alla fine del millennio, tra spettacolo, giornalismo, appuntamenti culturali e frammenti di trasmissioni innovative, Costanzo si avvale della collaborazione di Umberto Broccoli, “dopo Guglielmo Marconi la persona che conosce meglio la radio e la televisione”. “Abbiamo messo su una grande antologia – dice Broccoli – nella quale raccontiamo esperienze dirette e mediate tratte da questo patrimonio incredibile delle Teche, con la consapevolezza che attraverso questi microfoni e questi schermi è passata la cultura del nostro Paese”.

Ciascuna delle otto puntate avrà una parola guida: sabato sarà ‘inizio’: spazio al primo annuncio, “rifatto nel 1964”, alle curiosità sulle origini della sigla del Tg1, a un frammento dell’Osteria della posta di Goldoni ritenuta perduta. “C’era già tutto, il varietà, il cinema e il teatro. Rivedendo Gassman – confessa Costanzo – ho pensato a che piacere dovesse esser guardarlo in tv. Ho rivalutato anche Mike, professionista straordinario”. “Il nodo – sottolinea – sta tutto qui: la Rai dovrebbe avere coscienza di essere la Rai, la consapevolezza della sua lunga storia alle spalle e dei suoi magazzini pieni di straordinario materiale. Anzi, voglio mandare questo messaggio al presidente Marcello Foa”.

Con uno studio in cui campeggiano “dodici schermi con dodici canali”, da spettatore “di talk show e di all news, ma anche delle Teche”, Costanzo nota che alla tv di oggi mancano “fonti di approvvigionamento di grandi intrattenitori. E poi c’è un problema di costi: quando Falqui faceva Studio Uno, costringeva noi autori a stare sempre dietro le quinte e impiegava un intero pomeriggio per registrare tre minuti di balletto con Gino Landi”. Ha tenuto a battesimo “le prime risse al Costanzo show”, ma oggi si annoia quando vede “le risse costruite”. In queste difficili settimane si è preoccupato, scherza, “quando ho rivolto la parola all’armadio: allora ho deciso di uscire”. E conclude con fiducia: “Abbiamo superato la guerra, il terrorismo… ce la faremo anche adesso”.

Angela Majoli, ANSA

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