Alla finale del programma mancano due settimane. Mai come quest’anno, però, abbiamo assistito a una serie di trovate abbandonate in corso d’opera per lasciare il posto a dinamiche meno forti: ecco di cosa si tratta(va)
L’Isola degli ascolti in calo. Del «Fogli-Gate». E delle promesse mancate. Alla proclamazione del vincitore mancano appena due settimane, ma sono molti gli elementi a suggerirci che qualcosa quest’anno non ha funzionato. Colpa di un’esposizione massiccia del reality – genere, questo, che ha bisogno di essere ben dosato per non rischiarne l’usura -, ma anche di una serie di trovate che sulla carta sembravano forti e che nella resa hanno perso gran parte del loro fascino. È una cosa che capita spesso in programmi di questo tipo: annunciare con grande entusiasmo una serie di novità che, nel bene e nel male, appassiranno come un fiore che non ha avuto abbastanza acqua.
Nel caso specifico dell’Isola si sono aperte fin da subito tante strade. Alcune percorse a malapena, altre abbandonate a metà senza troppi pensieri. Partendo dal presupposto che è normale che gli autori si rendano conto di cosa funzioni e cosa no in corso d’opera, fa un po’ impressione realizzare tutti i pezzi a cui il reality ha rinunciato dal 24 gennaio, data di inizio, a oggi. Proviamo a riassumerli insieme.
I PIRATI. Doveva essere l’«isola piratesca», con la leggenda di Henry Morgan e del tesoro nascosto che era stata infiocchettata alla conferenza stampa inaugurale con grande maestria. Peccato che tutta la simbologia legata ai predoni e ai galeoni – con tanto di «Isola dei Pirati» – sia stata pian piano abbandonata. Meglio tornare alle diciture originali del «leader» e delle «prove vantaggio» più familiari al pubblico;
LE POLENE. Si era parlato di un reinserimento progressivo di alcuni ex-naufraghi che avevano fatto la storia del programma e che si sarebbero dovuti armonizzare con i concorrenti di quest’anno. Alessia Marcuzzi, fantasticando, aveva pensato anche al ritorno di Antonella Elia e a Giucas Casella. Peccato che, anche qui, l’idea sia stata accartocciata dopo l’incidente del Divino Otelma e lo «spintone» di Francesca Cipriani, che ha abbandonato il gioco poco dopo. Si dovevano chiamare «polene», come le statue di legno attaccate alla prua delle navi. Peccato che le navi siano partite senza le statue;
ALVIN CONCORRENTE. Era lo «scherzone» di questa edizione. Il «grande bluff», per citare una celebre trasmissione di Barbareschi, che avrebbe potuto scombinare le carte in tavola: far credere ai naufraghi che Alvin fosse uno di loro e poi scoprire che, in realtà, era l’inviato. L’obiettivo era spiare i protagonisti da vicino per capire qualcosa in più delle loro strategie e delle loro simpatie. Un’occasione sprecata perché una volta ripreso il suo ruolo Alvin non ha voluto aggiungere pepe scegliendo di non rivelare alcunché: forse la trovata meno riuscita di tutte;
IL COCCO D’ORO. C’è, ma non si vede. O, meglio, gli dedicano così poco tempo che è come se non ci fosse. Doveva essere una specie di Golden Buzzer che, se trovato da un naufrago, gli avrebbe regalato l’accesso in finale senza passare dalle nomination: occasione, anche questa, persa per i troppi accadimenti in studio;
L’ISOLA CHE NON C’È. È diventata una barzelletta, ormai. Prima si chiamava Ultima Spiaggia, poi Playa Soledad, ora Isola che non c’è. Il concetto è sempre quello: spedirci i concorrenti eliminati per fargli continuare il gioco all’insaputa dei naufraghi principali. L’obiezione è semplice: in un tempo dove il televoto rappresenta la massima democratizzazione di un paese (vedi Sanremo), com’è che nessuno si indigna se gli autori se ne infischiano del giudizio popolare spedendo un eliminato direttamente in finale?
Mario Manca, Vanity Fair