Impegno, look miti, cialis politica. Germano a Napoli per girare con Gianni Amelio. “Mi ispiro solo alle persone in carne e ossa che mandano avanti il paese”
“Cosa vuoi, perché guardi? Vattene”. Scatto d’ira, cupo. Un professionista contro l’ambulante. Il venditore arretra, la scena rivela l’inquietudine sorda di Fabio, ingegnere navale dall’apparente solidità, casa borghese, bellissima moglie, due figli, ma venuto dal nord in mezzo al caos e ai nervi scoperti di Napoli. Non senza impreviste e feroci conseguenze. Esterno giorno, Galleria Umberto I. “Pausa”, ordina il regista. Fabio si spoglia, torna a uno sguardo curioso: è Elio Germano nel nuovo film di Gianni Amelio. Titolo provvisorio La tentazione, “reinventato” dal romanzo di Lorenzo Marone. Sul set da due settimane, il regista dirige un notevole cast che comprende Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti e Greta Scacchi insieme al protagonista, Renato Carpentieri. E anche stavolta Germano non sarà conciliante. Un marito compresso, forse raggelante. “Ogni volta cerco di uscire da me per mettermi al servizio di una storia”, spiega lui da un appartamento sulla collina di Pizzofalcone, due anni dopo essere stato, sempre a Napoli, il “favoloso” Leopardi di Martone. Curriculum di assoluto prestigio, premi e impegno civile nascosti dietro la faccia da eterno debuttante.
Germano, Amelio ha scritto per lei il ruolo di Fabio. Cosa c’entra col femminicidio su cui ruota della storia?
“Lo stiamo costruendo in queste ore, e non posso dire molto ma Fabio è un uomo complesso. Non solo lui, anche le altre figure di questa vicenda sono più persone che personaggi. Credo che il film racconti del disagio nascosto, dei segreti che ciascuno di noi si porta dietro. Una visione di Amelio, molto più libera del romanzo”.
Trentacinque anni e 35 film, senza contare fiction, cortometraggi, teatro, perfino la sua esperienza di rapper in una band di amici. Come sceglie un ruolo e cosa pensa di aver portato al cinema?
“Quello che mi interessa è portare qualcosa di molto vivo e insieme misterioso, quasi confuso. Recitare non è un’esperienza razionale. Lavori nell’inconsapevolezza. Ti abbandoni nelle mani di un autore. Poi ogni regista ti porta sulla sua nave, sul suo mare”.
Non si finisce per rimanere più legati a un ruolo, o a un set, come fossero tappe di formazione?
Sorride. “Mi auguro ogni volta di riprovare l’esperienza dell’ignoto: che i registi possano salpare verso acque sconosciute, senza rotte prestabilite dettate dal mercato”.
Continua a pensare che il cinema italiano sia “pigro”?
“La faccenda è più complicata. Si fanno tanti medi film che sono l’uno il clone dell’altro. E si fanno moltissimi bei film, con pochissimi soldi, che non vede quasi nessuno. E quanto più il mercato riproduce se stesso, tanto più il resto del settore che sperimenta nuovi linguaggi ha a disposizione scarsissime risorse, ma non si arrende. Per esempio, mi è piaciuto molto Lo chiamavano Jeeg Robot, e l’anno scorso il napoletano Take Five “.
Nel 2010 a Cannes dedicò la sua Palma “agli italiani migliori della loro classe dirigente”. Mai stato tenero con la politica. Ora si vota a Roma, la sua città. Con quale animo va alle urne?
“Non so ancora per chi voterò. Da un po’ di tempo vado a votare nella prima fase e non riesco a farlo al ballottaggio, come tanti cittadini non mi ritrovo in quei due nomi. Ma al di là di questo, penso che la politica si faccia nella sua funzione più aperta e nobile, da un’altra parte. I candidati dovrebbero uscire e ascoltare. E dovrebbero mettere al centro un’idea di collettività invece di lobby e interessi di parte. Finché non si scardina questo meccanismo, cambia poco per me se c’è un simbolo o un altro. La politica vera è in quei luoghi dell’associazionismo o del volontariato che praticano cultura dal basso, che spesso offrono servizi, e vengono anche ostacolati per la mancanza di autorizzazioni. Basti dire che il Comune di Roma è ormai in mano a un prefetto che non fa altro che consegnare avvisi di sgombero” .
È stato paragonato a Volonté e Mastroianni. Ma nel suo pantheon chi c’è?
“A parte che mi sono già riappacificato con l’anima del buon Volonté, conosco la figlia e lui sa che io non c’entro con questi paragoni. Ma a essere sincero, mi dispiace per i grandissimi attori, di cui resto un fan, ma nel mio pantheon non ci sono persone che fanno il mio mestiere. Ci sono i vecchi del paese, le persone in carne e ossa che ho potuto vedere all’opera, alla prova dei fatti. In fondo, la vita è un’altra cosa”.
di CONCHITA SANNINO, La Repubblica