I Maneskin affrontano a tutto rock la loro prova del nove: ecco “Rush!”

I Maneskin affrontano a tutto rock la loro prova del nove: ecco “Rush!”

Esce venerdì 20 gennaio l’atteso nuovo album del gruppo romano, alla prima prova discografica dopo l’esplosione di notorietà. Tgcom24 lo ha ascoltato in anteprima 

L’attesa è finita. I Maneskin pubblicano venerdì 20 gennaio il nuovo album “Rush!“, il primo da “Teatro d’ira vol. 1”, pubblicato ormai nel 2021 prima che la band venisse investita da una popolarità di portata internazionale. Una sorta di prova del nove che il gruppo affronta dopo aver raccolto consensi ed entusiasmo sui palchi di tutto il mondo. Anticipato da cinque singoli “Rush!” contiene 17 canzoni in larga parte caratterizzate da un forte impatto energico e nelle quali emergono forti le diverse influenze del gruppo, dal punk inglese all’hard rock.

Inutile dire che molti aspettano i Maneskin al varco. Da quando la band ha preso il volo, ovvero con il successo al Festival di Sanremo del 2021 ma soprattutto con l’affermazione al seguente Eurovision di Rotterdam, critica e pubblico si sono spaccati tra chi si è fatto ammaliare dal quartetto seguendone l’onda crescente di un successo assolutamente impensabile a febbraio 2021, e chi ha iniziato a fare distinguo e prese di distanze nel nome di un purezza del “vero rock” che non abiterebbe dalle parti del gruppo romano.

Per questo motivo un approccio laico a “Rush!” è più che necessario. Quello che appare evidente è che rispetto al passato e alle prime uscite discografiche, quella di “Teatro d’ira vol. 1” ma soprattutto dall’esordio de “Il ballo della vita”, Damiano, Victoria, Ethan e Thomas abbiano in parte ristretto il proprio orizzonte definendo meglio i propri confini stilistici. Non che in “Rush!” manchi il consueto puzzle di riferimenti, che vanno dal pop-rock più melodico americano degli anni 2000 al glam, dal punk inglese più ortodosso al post punk a stelle e strisce, fino ad alcune sonorità sporche da hard rock confinante con l’industrial. Ma nel complesso il tutto è decisamente messo più a fuoco un quadro sonoro coerente. Frutto di un ovvio processo di maturazione del gruppo ma soprattutto di un altrettanto ovvio lavoro produttivo importante, tanto che i pezzi che portano esclusivamente la firma dei quattro sono una manciata, mentre nella maggior parte dei casi vedono il contributo di penne internazionali.

D’altro canto l’obiettivo di “Rush!”, registrato in giro per il mondo tra un concerto e un premio ritirato e prodotto da Fabrizio Ferraguzzo e Max Martin, è ben diverso dal passato. A questo giro il pubblico di riferimento non è tanto quello italiano ma quello internazionale che ha portato il gruppo dove si trova ora. Si spiega ovviamente così anche il fatto che su 17 canzoni solo tre siano in italiano, in un completo ribaltamento di proporzioni rispetto a “Teatro d’ira”. E colpisce come alla separazione tra inglese e italiano corrisponda in maniera abbastanza netta anche una scissione di scrittura: nelle canzoni in inglese emerge trova spazio l’inclinazione più sfrontata e caciarona, con testi infarciti di “fuck” e situazioni sesso, droga e rock’n’roll, pur spesso ammorbidite da una dose di ironia, mentre a quelle in italiano sembra essere affidata una vena più strutturata. In questo senso è paradigmatico l’esempio di “Mark Chapman“, un pezzo che, intitolato con il nome dell’assassino di John Lennon, parla di un fan ossessionato al limite dello stalking. Il corrispettivo anglofono potrebbe essere “Gasoline“, probabilmente il pezzo più strutturato e anomalo del disco, sia da un punto di vista sonoro, con chitarre più taglienti, che nel testo, incentrato sulla guerra e su un folle che tiene in scacco il mondo (ogni riferimento a Putin è puramente voluto).  

Tra gli altri brani si distinguono il pezzo di apertura “Own My Mind“, robusto e melodico, “Baby Said” dal riff leggermente sincopato che accompagna un cantato con accenti pop, e “Read Your Diary“, dall’impatto meno frontale rispetto alle altre canzoni e con una ritmica vagamente sghemba che lo fa emergere”. Non mancano riferimenti alla vita che la band si è trovata a vivere, come in “Timezone“, racconto dei tanti fusi orari attraversati nel continuo girare. Certo, non tutto gira alla perfezione. “Bla Bla Bla” è una sorta di filastrocca onomatopeica, troppo lunga per essere così uguale a se stessa dall’inizio alla fine senza stancare, così come le cose sembrano meno efficaci quando il tempo rallenta, come nella ballad “It’s Not For You” o nel midtempo “Il dono della vita“. Un album costruito per consolidare l’immagine del gruppo e piacere a chi è salito sul carro dei Maneskin da più di un anno a questa parte. Difficile possa far cambiare idea invece ai detrattori più incalliti.

Ma questo per Damiano e soci è un problema irrilevante, dal momento che si preparano ad affrontare un mega tour praticamente già tutto esaurito senza contare che il 5 febbraio potrebbe arrivare la consacrazione di un Grammy come “Miglior nuovo artista”. La tournée mondiale ripartirà il prossimo 23 febbraio, e farà tappa in tutta Europa toccando in Italia i più importanti palazzetti e si concluderà con quattro speciali date-evento allo Stadio Olimpico di Roma, il 20 e 21 luglio, e allo Stadio San Siro di Milano, il 24 (sold out) e 25 luglio. Per i concerti del 2023 sono stati già venduti 500mila biglietti.

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