Outsider Antonella Ruggiero. Oltre i Matia Bazar: “Non c’è niente che non rifarei”

Outsider Antonella Ruggiero. Oltre i Matia Bazar: “Non c’è niente che non rifarei”

Talento multiforme, personalità sfaccettata, l’ex voce dei Matia Bazar si è allontanata dal successo più scontato per dedicarsi a progetti solisti coraggiosi dettati solo dal cuore. Come ‘Quando facevo la cantante’, un cofanetto di sei dischi dal vivo: “M’invento nuove strade”

Guardandola con gli occhi delle persone normali, o forse non cloroformizzate dal conformismo, Antonella Ruggiero ha sprecato una carriera, ovvero una voce fantastica, potente, versatile, morbida, multiforme, fuggendo dal successo avuto coi Matia Bazar per dedicarsi a progetti di nicchia di poca o nulla rendita. Ma tutto questo è esattamente il motivo per cui la cantante, che di fuori dall’ordinario non ha solo il talento vocale ma per fortuna anche il modo di ragionare e di vivere, è orgogliosa di tutto quel che ha fatto da solista, ovvero dal 1996 a oggi: musica sacra, etnica, jazz, pop, folk, tradizione (Addio Lugano bella) classici che vanno da Papaveri e papere a Luglio agosto settembre nero, e un po’ tutto quello che le è passato in mente. “E di tutto questo sono orgogliosa, non c’è niente che non rifarei, non ho mezzo rimpianto per la vita precedente. Non rinnego il periodo dei Matia Bazar, con cui ho fatto cose bellissime, però sono felice così”. Al punto che tutto questo, o meglio una minima parte, è finito in Quando facevo la cantante, un progetto folle, ma di quelle follie che fanno bene all’anima perché escludono a priori il calcolo, la convenienza, e obbediscono solo al cuore. Un cofanetto con 115 brani suddivisi in 6 dischi, più un libro di 180 pagine, che raccoglie il meglio delle registrazioni dal vivo di questi 22 anni. E a riprova che contro il suo passato da cantante di un gruppo pop di successo non ha nulla, uno di questi dischi ha proprio grandi successi dei Matia Bazar, da Vacanze romane a C’è tutto un mondo intorno.

Iniziamo però col titolo. Quell’imperfetto è un annuncio di ritiro?
“No, per carità, qui sono e qui resto. Continuerò a fare la cantante, ma in qualche altro modo, inventandomi nuove strade e nuovi filoni. Non so dirle cosa, adesso, scatterà qualcosa all’improvviso, sentendo qualcosa che trasudi verità sincerità, non scritta a tavolino. Il titolo è venuto così, come un gioco di parole a me e Roberto Colombo, il musicista e arrangiatore che lavora con me da sempre e con cui ho ideato questo lavoro”.

Cosa vi ha spinto?
“L’idea che fosse un peccato non fare ascoltare certe cose a chi fosse interessato. Si tratta di poche persone? Lo so, e mi va bene. Questo è un lavoro davvero sentito, di alto artigianato, non direi nemmeno di arte perché ormai l’arte vediamo e sentiamo tutti cosa sia diventata. Qui Colombo si è sbizzarrito in riarrangiamenti, tagli, aggiunte, senza limiti né confini”.

Nel dubbio ce lo spieghi lei cos’è l’arte musicale adesso.
“Ce ne sono di due tipi, o la musica di nicchia o l’altra, che è pressoché indefinibile, guidata da omologazione, compromessi umani e professionali, interferenze artistiche, case discografiche che dettano regole insopportabili per me. Guardi, per tornare sul discorso dei rimpianti, se ne avessi avuti non mi sarei fermata sette anni dopo aver lasciato i Matia Bazar”.

Però eravate forti, dai. E non facevate certo musica omologata e plastificata.
“Vero, ma era un altro mondo musicale e un altro mondo in generale. Un mondo in cui in radio potevi sentire tranquillamente anche i Genesis o Cat Stevens e non solo la paccottiglia di oggi. Non rinnego niente di quello che abbiamo fatto allora, tanto che uno sei dischi è dedicato proprio a quelle canzoni”.

Qual è la sua preferita di quel repertorio?
“Direi le canzoni di Tango: lì eravamo liberi, creativi, attingevamo a sonorità internazionali come la new wave e l’elettronica, ma al contempo eravamo originali e imprevedibili”.

Della musica di adesso non salva proprio nulla?
“L’ascolto talmente poco che non saprei dire. Uno che mi piace è un giovane indie che si chiama Lucio Corsi, è un ragazzo adorabile e scrive delle cose splendide. Merita di avere una gran carriera”.

Già che parliamo di giovani, le registrazioni vanno dal 1996. Uno nato in quell’anno ora è un adulto che ascolta musica. Pensa che ascolti anche la sua?
“Basandomi sul pubblico dei concerti, sì. E questi dischi nascono anche per le nuove generazioni, alle quali vorrei dedicarmi sempre di più. I ragazzi di adesso li vedo pressatissimi al punto da distaccarsi da tutto anche musicalmente. M quando scoprono qualcosa di bello, dell’oggi o del passato, sanno ancora appassionarsi. E trovo i loro pensieri molto più profondi di quel che si pensi”.

Per la sua prima vita non ha rimpianti. E per questa seconda? Ovvero, riascoltandosi si è dispiaciuta di aver fatto o non fatto qualcosa?
“Nessun rimpianto. Mi hanno offerto tante cose ma ho i miei gusti, mi piace la storia, l’antico, entrare nell’animo di chi non c’è più. Non sono una macchina di canzoni nuove a tutti i costi. Mi irrita la superficialità”.

Luigi Bolognini, repubblica.it

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