Festa del Cinema di Roma, Russell Crowe su Poker Face: ‘sfida fatta pensando a mio padre’

Festa del Cinema di Roma, Russell Crowe su Poker Face: ‘sfida fatta pensando a mio padre’

L’attore, nel corso della presentazione del suo secondo film da regista, ne ha illustrato la genesi partendo da una premessa: ‘Poker face mi è arrivato come produzione finanziata e la persona che doveva dirigerlo aveva avuto problemi familiari per cui aveva dovuto abbandonare. Così 5 settimane prima dell’inizio delle riprese mi hanno offerto la regia. Avevo appena perso mio padre ed ero nella condizione in cui ho iniziato a pensare cosa fare e cosa avrebbe fatto lui’

“Ho iniziato a lavorare a Poker Face senza sceneggiatura, senza cast, a cinque settimane dall’inizio delle riprese, con la prospettiva del lockdown che di lì a poco avrebbe bloccato tutto. E’ stata una sfida totale, assoluta, in cui ho dovuto fare il film con quello che avevo, la sfida perfetta da raccogliere arrivato a questa età”. A parlare è Russell Crowe, protagonista all’Auditorium Parco della Musica col suo secondo film da regista nell’ambito della Festa del cinema di Roma (QUI TUTTE LE NEWS), evento in collaborazione con Alice nella città. La pellicola, che uscirà in Italia il 24 novembre distribuita da Vertice360, segna il ritorno dietro la macchina da presa di Russell Crowe, otto anni dopo l’esordio con ‘The Water Diviner’, premiato con l’Oscar australiano come miglior film nel 2015.

L’attore, che è anche co-autore della sceneggiatura con Stephen M. Coates, interpreta un giocatore d’azzardo miliardario che offre ai suoi migliori amici la possibilità di vincere più denaro di quanto abbiano mai sognato. In cambio, però, dovranno rinunciare a ciò che hanno protetto per tutta la vita: i loro segreti.

LA GENESI DI POKER FACE

In un incontro con la stampa, il primo da venerdì, da quando è a Roma per promuovere il film e ritirare la targa in Campidoglio come ‘ambasciatore di Roma’ nel mondo, Crowe ha illustrato la genesi di ‘Poker Face’. Partendo da una premessa: “Questo film mi è arrivato come produzione finanziata e la persona che doveva dirigerlo aveva avuto problemi familiari per cui aveva dovuto abbandonare. Così 5 settimane prima dell’inizio delle riprese mi hanno offerto la regia. Avevo appena perso mio padre ed ero nella condizione in cui ho iniziato a pensare cosa fare e cosa avrebbe fatto lui – ha spiegato – dopo che il produttore Gary Hamilton mi ha chiamato e mi ha chiesto se ero intenzionato a partecipare al progetto”.

UNA SCELTA FATTA COL CUORE

La scelta di Crowe è stata fatta con il cuore.”C’era la pandemia e Sidney stava per entrare nel lockdown peggiore della sua storia. Ho pensato che 280 persone della troupe rischiavano di restare senza lavoro e non potevano dare da mangiare alle loro famiglie – ha spiegato – e questo mi ha spinto a accettare. Io ho iniziato a lavorare a sei anni: tv, teatro, cinema. I miei amici sono tutte persone che lavorano in questo campo e so che vuol dire”. Una scelta comunque difficile perché i tempi erano strettissimi e le condizioni di lavoro del tutto uniche“Senza sceneggiatura, senza cast, a cinque settimane dall’inizio delle riprese, con la prospettiva del lockdown – ha raccontato l’attore e regista neozelandese – la mia esperienza mi ha aiutato ed è entrata a far parte del progetto. Il film è qualcosa di vivo. In 9 giorni ho fatto la prima stesura della sceneggiatura, poi in 4 giorni la seconda stesura. Ho chiamato un po’ di colleghi a cui ho proposto il film spiegando la situazione estremamente difficile. Questo contesto ha trasformato il film d’azione in un film che parla di eredità, di quello che un uomo si porta dietro, un uomo che ha tutto tranne il tempo”.

 IL FILM È LA FORMA D’ARTE PIÙ FLUIDA CHE ESISTA

“Questa volta non partivo da zero, non avevo 18 mesi per scrivere la sceneggiatura – ha detto ancora Crowe – ma ho raccolto questa sfida con grande impegno. Ho fatto del mio meglio con le risorse che avevo. Poi la realizzazione di questo film si è trasformato in qualcosa di intimo e personale. Abbiamo portato a termine un’impresa impossibile: non si poteva girare in condizioni normali. C’era il lockdown, veniva fatto tutto di notte, in maniera illegale. Anche la parte sociale era esclusa – ha aggiunto – non potevo offrire un caffè ai componenti della troupe, sul set poteva starci solo chi doveva lavorare alla scena. Quattro settimane dopo l’inizio delle riprese, inoltre, la persona che faceva caffè si prese il Covid e abbiamo dovuto sospendere la produzione”. “Sette mesi dopo sono ricominciate le riprese, ma ci sono state inondazioni che hanno distrutto i set. Comunque abbiamo completato il film e dentro ci sono tutte le mie emozioni – ha concluso – il film è la forma d’arte più fluida che esista e non mi interessa che sia perfetta: io completo e faccio il mio lavoro”.


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