(Silvia Fumarola, unhealthy Repubblica) Le parole più giuste su Roberto Mancini, il vicecommissario morto di tumore il 30 aprile del 2014, dopo aver indagato sui rifiuti tossici in Campania, le pronuncia Don Maurizio Patriciello, ai funerali: «Roberto pur non essendo napoletano è stato uno di noi, e prima di noi ha compreso quello che stava succedendo nelle nostre terre. Quando gli hanno chiesto: “Rifaresti le stesse cose?”, rispose: “Sì, le rifarei per amore della gente”. Don Peppino Diana, ucciso dalla camorra vent’anni fa, scrisse un documento: “Per amore del mio popolo non tacerò”. Da questo altare posso dire: Roberto, eri un uomo».
Alla storia di questo investigatore tenace, persona rara, è ispirata la fiction Rai Io non mi arrendo di Enzo Monteleone con Giuseppe Fiorello. I processi sono in corso, nel film tv il protagonista si chiama Marco Giordano. Pallido e dimagrito, la testa rasata per girare il periodo della malattia, Fiorello ha letto sette pagine del soggetto e ha accettato subito il ruolo: «Avevo le lacrime agli occhi, attraverso questo poliziotto raccontiamo cosa vuol dire avere senso del dovere».
Monika Dobrowolska, la moglie di Mancini, ha seguito l’attore sul set: «Mi ricorda Roberto, mi fa impressione per come si muove. Ogni tanto gli accarezzo la testa». È una donna forte, simpatica, che ti fissa con gli occhi chiari: da quando il marito è morto gira per le scuole, parla ai convegni, è intervenuta alla presentazione dei rapporti sulle ecomafie, il capitano Ultimo l’ha premiata. Ha mai avuto paura? «Un po’ quando abbiamo ricevuto le minacce», risponde «ma sono polacca, ho superato la guerra civile nel mio paese… Ho sempre detto a Roberto di continuare. Durante la chemioterapia, con 50 mila piastrine, ha fatto un arresto durante una rapina in banca. Il lavoro veniva prima di tutto, ero orgogliosa di lui e non l’ho mai fermato». Mancini per anni indaga sui rifiuti, raccoglie prove tra Napoli e Caserta, scopre illeciti. Nel ’96 consegna l’informativa alla procura di Napoli. Non succede niente. Nel 2011 un magistrato lo mette agli atti del primo processo per disastro ambientale. Mancini è già malato, ma si mette a disposizione della giustizia. «Non ha mai mollato» racconta Monika, che ricorda sorridendo quando si sono conosciuti: «Un segno del destino». Lei che deve incontrare un certo Mancini per il permesso di soggiorno, e quel Mancini non c’è. Ma entra nell’ufficio di Roberto, omonimo, che la fa tornare nove volte. «Non avevo mica capito, è stata mia madre a dirmi: non ci sarà dell’altro?», ride.
«C’è anche questo nel film» spiega Fiorello «vogliamo restituire il ritratto di una persona vera, non di un eroe – anche se in questo Paese chi fa il proprio dovere lo diventa. Si fa una distinzione tra terra dei veleni e terra dei fuochi, i veleni sono stati sversati prima e ora s’incendiano, sono modalità diverse, devastanti. Ma l’allarme non appartiene solo alla Campania, hanno scoperto veleni anche in Puglia e in Lombardia. L’Italia è stata l’immondezzaio dell’Europa» sospira l’attore «Tanti sapevano, pochi parlavano. Dove tutti sono colpevoli nessuno lo è, la camorra ragiona così». Coprodotto da Picomedia e RaiFiction, scritto da Jean Ludwigg insieme a Marco Videtta e Monteleone (con la collaborazione della signora Mancini e dello stesso Fiorello) il film – in onda la prossima stagione su RaiUno – intreccia indagini e vita privata. Nel cast Massimo Popolizio, Elena Tchepeleva, Paolo Briguglia, Biancamaria D’Amato, Stefano Alessandroni, Mario Sgueglia, Alessandro Riceci, Salvio Simeoli, Antonio Milo, Maddalena Crippa. «Con la moglie» racconta il regista «abbiamo ricostruito il mondo degli affetti, con i colleghi di Roberto quello del lavoro: era spiritoso, vitale. La prima parte, siamo negli anni 90, è un poliziesco, anche se c’è la storia d’amore con Monika, il matrimonio, la nascita della figlia. Poi arriva il cazzotto, la malattia, non lotta più contro il malaffare ma contro “la bestiaccia”, come dice al magistrato parlando del tumore». Monika spiega che la figlia adolescente Alessia ha il carattere forte del padre, è fiera di lui: «Roberto era un combattente, lei pensava che ce l’avrebbe fatta, è stata dura accettare la verità. Quando il ministro Alfano le ha consegnato la medaglia d’oro al valor civile, davanti al capo della polizia Pansa ha fatto un bel discorso: “Ma voi quando eravate piccoli e giocavate nei campi pensavate che non sareste arrivati a 14 anni? Perché noi adesso lo pensiamo”. Vuole fare la poliziotta». «Il finale di questa storia è tutto da scrivere» dice Fiorello «cito Mancini: “Mi auguro che a occuparsi delle bonifiche delle terre non siano gli stessi che le hanno contaminate. Quando cominceranno ad arrivare i fondi europei, chi vincerà gli appalti?”».