In 40mila alla quarta serata del festival alla Visarno arena
Chiusura in grande stile per la terza edizione del Firenze Rocks: a salire sul palco della Visarno Arena per l’ultima serata del festival sono i The Cure, nell’unica data italiana del loro tour 2019. Dopo tre giorni di musica con le performance di Tool, Ed Sheeran ed Eddie Vedder, alle 21 in punto Robert Smith ha acceso i 40mila dell’ippodromo intonando Shake dog shake, brano tratto da The Top del 1984, il quinto album in studio della band inglese. Il gruppo è la formazione che forse più di ogni altra ha influenzato una generazione di musicisti scrivendo la storia del rock gotico e alternativo. Dopo la prima esibizione nel 1978, i The Cure in oltre 40 anni di carriera – festeggiati lo scorso anno con un mega concerto ad Hyde Park – hanno tenuto oltre 1.500 show in tutto il mondo e pubblicato 13 album. La tappa fiorentina del 16 giugno è speciale per almeno due motivi: rientra nel tour che celebra i 30 anni dell’iconico album Disintegration e anticipa l’uscita del prossimo lavoro, annunciato per il 2019 dopo ben undici anni di attesa. Il pubblico della Visarno Arena è quello delle grandi occasioni che inizia a pogare già nel primo pomeriggio grazie ad un menu composto dal miglior post-rock contemporaneo.A salire per primi sul palco sono i Siberia, gruppo underground nato a Livorno nel 2010, e i Balthazar formazione indi-pop-rock proveniente dal Belgio. Seguono gli attesissimi Editors, a Firenze per svelare il nuovo singolo ‘Frankenstein’ e i Sum 41 con le loro sonorità punk rock. Poi cala il silenzio in attesa della voce timida, nevrotica, e passionale di Robert Smith che propone subito successi come Burn, A night like this, Just one kiss e Just like heaven.Da primo profeta del rock triste, il cantautore 60enne si presenta sul palco con abiti scuri, trucco nero intorno agli occhi, rossetto rosso e soliti capelli spettinati.Sul palcoscenico nessun allestimento, soltanto l’ingombrante presenza scenica della band composta oltre che Smith, da Simon Gallup al basso, Jason Cooper alla batteria, Roger O’Donnell alle tastiere e Reeves Gabrels alle chitarre. Grande protagonista come da copione è l’album Disintegration che fa scatenare il pubblico con i brani che più degli altri strizzano l’occhio al mondo pop: Pictures of you, Lovesong e Lullaby. Tra i momenti ‘indelebili’ l’iniezione di energia arrivata con Friday i’m in love, forse l’hit più conosciuta del gruppo. In due ore e mezzo di concerto (il più lungo del festival) con una scaletta di 29 brani, Smith e la sua band raccontano 40 anni di carriera, mettendo al loro posto tutti i tasselli che li hanno resi uno dei gruppi più iconici. Per farlo si affidano a brani come From the edge of the deep green sea e High, tratti da Wish, Primary, The caterpillar, Close to me e Boys don’t cry con cui i The Cure chiudono un concerto granitico, cantato e suonato tutto d’un fiato.
Marta Panicucci, Ansa