Pietro Sermonti racconta la terza stagione di “Tutto può succedere”, dal 18 giugno su Rai1

Pietro Sermonti racconta la terza stagione di “Tutto può succedere”, dal 18 giugno su Rai1

Della grande famiglia colorata di Tutto può succedere (dal 18 giugno su Rai1 la terza stagione), in cui i guai si condividono, come le gioie, in cui tutti si dicono tutto e i fratelli accorrono ai pranzi domenicali dei genitori (in natura esisteranno famiglie così?), Alessandro Ferraro (Pietro Sermonti) è un punto fermo. Il marito che tutte vorrebbero avere, il padre ideale, l’amico su cui puoi contare sempre, che ti raggiunge sotto il diluvio per darti un abbraccio. Un uomo così leale e gentile che ti chiedi se nei momenti di umanissima rabbia distrugga un servizio di bicchieri, urli nei boschi o divori un montblanc da solo in cucina.

ermonti ha un talento speciale, l’umanità, da Boris alle commedie (sta girando Uno di famiglia di Alessio Maria Federici), regala ai personaggi il suo sguardo comprensivo e ironico. Nel ruolo di Alessandro Ferraro, padre di un ragazzino che ha la sindrome di Asperger e di una ragazza inquieta che cresce, si sente a suo agio. “Sì stimo profondamente il mio personaggio”, racconta, “in questa terza serie però, ammesso che il giudizio di un attore abbia senso, ho sentito che deragliava”. Diretta da Lucio Pellegrini e Alessandro Casale, prodotta da Rai Fiction e Cattleya, la versione italiana di Parenthood al suo finale di stagione si apre con un furto in casa dei nonni Ettore (Giorgio Colangeli) e Emma (Licia Maglietta). I contraccolpi ricadono su tutti e in particolare su Alessandro che, come sempre, si sente in dovere di rimediare al disastro. Ma stavolta non riuscirà a gestire il peso delle responsabilità. “Crolla anche lui”, racconta l’attore, cui la tv ha regalato ruoli di bravo ragazzo dai tempi del Medico in famiglia, in cui interpretava il timido dottor Zanin. “Sono diversi, uno ha quindici anni più dell’altro”, spiega sorridendo, “Zanin era un ragazzo, senza responsabilità”.

In Tutto può succedere Alessandro porta sulle spalle pesi enormi e la cosa poderosa, un po’ fuori dal mondo, è che lo fa con leggerezza. “È un uomo che ama con lo stesso ardore la stessa donna, che non ha ambizioni sul lavoro. È molto interessante il percorso di Alessandro accanto al figlio che ha la sindrome di Asperger. Mi ha trascinato nella storia, ma la vera locomativa di questa avventura è stata il cast; Licia Maglietta, Giorgio Colangeli, Maya Sansa, Camilla Filippi, Alessandro Tiberi, tutti gli altri, hanno dato verità. La vera scoperta sono stati i giovani protagonisti: quel fenomeno di ragazzino che interpreta mio figlio, Roberto Nocchi, Benedetta Porcaroli, Matilda De Angelis hanno un talento enorme. Ci hanno massacrato quando giravamo. Per fortuna che finisce la serie”.

Alessandro fa un lungo percorso. “La cosa che lo rende simpatico” continua l’attore “è la fatica di accettare un figlio con problemi che non guariranno mai. La seconda fase è organizzare la vita intorno al bambino e alla fine deve spiegargli che ha un problema con cui deve convivere. Un percorso umano e affettivo che conosco, perché so cosa vuol dire in una famiglia dedicarsi a chi è in difficoltà. Riguarda la mia vita privata, mia sorella, che non c’è più, è stata a lungo malata”. Nel legame con la figlia, invece, viene fuori l’aspetto ironico. “È il classico padre geloso di una figlia adolescente bellissima, ed essendo lui un po’ vecchia guardia ha una  rigidità che lo rende umano e quindi goffo”. Ma lei è un buono? “Che domanda, sono una persona in cammino anche se con pause di 20, 25 giorni in autogrill. Cerco una spinta e certe volte sono io la spinta. Buono non lo so, per me chi è buono è una persona più risolta, solida. Io ho qualche vuoto d’aria”.

A 46 anni, l’adolescente che sognava di fare il calciatore, il figlio di uno dei più grandi intellettuali italiani, il dantista Vittorio Sermonti (scomparso due anni fa) e di Samaritana Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli, ha trovato il suo posto nel mondo sul set. “Il rapporto con mio padre è una faccenda che sto dissodando”, spiega Pietro Sermonti “papà è sempre con me. Forse non è un caso che abbia girato due film da protagonista quando lui se ne è andato, sua moglie Ludovica mi diceva che era consapevole del peso che aveva. Papà era una persona fantastica e mi conforta che si sia risparmiato di vedere come si è ridotta l’Italia, perché questa deriva della politica lo avrebbe fatto soffrire. Sto capendo tante cose di lui adesso, vorrei recuperare le audiocassette in cui intervista me e mia sorella bambini”.

Sermonti è felicemente vintage. “Ringrazio Dio di non essere cresciuto adolescente con i social, se no sarei morto. L’idea che a 15 anni part per le vacanze e sei sempre connesso, vado qui vado lì, questa cosa febbrile di condividere, mi fa orrore. È la sindrome del criceto nella ruota, hanno contrabbandato la nostra libertà per modernità. Guardi, io mi sentivo già vecchio trent’anni fa. Poi dico che volevo fare il giocatore come bagaglio tecnico: in realtà il mio è un corpo da lanciatore di coriandoli”.

Nella commedia Uno di famiglia (nelle sale il 22 novembre con Warner Bros., diretta dai Federici, che firma la sceneggiatura con Andrea Garello e Giacomo Ciarrapico), è un insegnante di dizione invischiato da una famiglia malavitosa. “Luca è un uomo qualunque, onesto e candido che vive una vita tiepida. Finisce risucchiato dalle sabbie mobili di questa famiglia morbosa” racconta Sermonti, già protagonista per Federici di Terapia di coppia per amanti. “Nell’incontro con la famiglia della ‘ndrangheta dei Serranò, prima è incredulo poi si preoccupa, ma subisce anche il fascino del torbido. La generosità di questi criminali è violenta, è difficile sottrarsi. Ci sono attori bravissimi da Nino Frassica, Lucia Ocone, Sarah Felberbaum”.

Un sogno? “Farei volentieri il ruolo di un cattivo, anzi cattivissimo per poter uccidere qualcuno” ride. “Ho visto Dogman la psicologia assassina che muove Marcello Fonte per vendicarsi è formidabile, resa in maniera perfetta. Autentica. Il cinema” dice Sermonti “ti permette di liberare l’energia negativa, di tirare fuori l’ombra che tutti abbiamo dentro e che non possiamo esprimere se no andremmo dritti in galera. Matteo Garrone ha girato un grandissimo film”.

Silvia Fumarola, Repubblica.it
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