Al Festival di Taormina il regista presenta “Ukraine on fire”, un documentario di cui è coproduttore e in cui compare come “giornalista”
“Non è stato facile farmi coinvolgere in una storia controversa come questa, dopo i miei film in Sudamerica so bene che posso subire attacchi anche violenti, e per me è inconcepibile che si possa essere accusati solo perché si mostrano fatti in contrasto con le versioni ufficiali. Ma è importante che l’opinione pubblica conosca gli eventi dell’Ucraina orientale da una prospettiva diversa da come ci sono stati presentati”. Oliver Stone parla di Ukraine on fire dell’ucraino Igor Lopatonok, cittadino americano dal 2008, presentato in anteprima mondiale al festival di Taormina, del quale non solo è coproduttore ma partecipa come intervistatore dell’ex presidente Viktor Yanukovich e del presidente russo Vladimir Putin. Il film ricostruisce la storia del paese dal 1941 al 2014, ponendo l’accento sui movimenti nazionalisti che parteciparono alla seconda guerra mondiale affiancando i nazisti nella strage di ebrei e polacchi. E che, supportati dalla Cia durante la guerra fredda, si sono infiltrati nelle manifestazioni ucraine pacifiche degli ultimi anni.
Stone, cosa l’ha convinta ad aderire al progetto?
“La necessità di una controinformazione. Come diceva Mark Twain “se non leggi i giornali non sei informato, se li leggi sei informato male”. Mi ha convinto il contesto, è importante per gli Usa e per l’Europa conoscere la realtà, perché tutto questo, che è anche una guerra fatta dai media, ha portato alle sanzioni, all’embargo, conseguenze dure per l’economia. È vero che molti manifestanti erano motivati da ragioni giuste, si sentivano oppressi, ma noi raccontiamo la storia da prima della rivoluzione arancione, e come sappiamo in Ucraina ci son sempre stati governi corrotti. Sicuramente in questo governo, insediato da due anni, ci sono elementi che discendono da assassini, persone che si unirono al Reich. È il primo governo con elementi nazisti, è molto pericoloso. E negli Usa non c’è stata reazione, si parla solo dell’aggressione russa”.
Pensa davvero che il ruolo dei media sia stato così determinante?
“Sappiamo quante volte la Cia abbia usato il cosiddetto soft power per influenzare altri paesi, magari per scongiurare l’affermazione di governi di sinistra. Ma prima dell’Ucraina gli Usa sono intervenuti in tanti paesi dell’ex Urss, con addestramenti delle forze Nato, storie che i grandi media non raccontano”.
La sua impressione su Putin come persona e come leader?
“Un uomo molto intelligente, articolato, razionale, conosce a fondo i problemi. Putin dal 2001 in poi sta cercando una sorta di alleanza con gli Usa: ha espresso la sua solidarietà dopo l’11 settembre, ha cercato di affiancarli nell’Asia centrale e nella lotta al terrorismo, ma il comportamento degli americani è sempre lo stesso: abbattere i regimi ostili e crearne di compiacenti, senza cercare di capire le ragioni interne di un paese, la cultura, il disagio, le divisioni”.
Non è cambiato niente con la presidenza Obama?
“L’ho votato due volte, ma sono deluso. Aveva promesso di cambiare la politica estera di Bush, parlava di trasparenza, voleva smettere con le intercettazioni illegali. Non è successo niente, non ha capito che non si può lottare contro le idee, bisogna prima capirle”.
Il futuro?
“Il sistema americano è troppo consolidato, penso che nessuno possa cambiarlo veramente: né Trump, né la Clinton. Anzi Hillary mi sembra ancora più radicale di Obama in tema di politica estera”.
Pensa che susciterà più scalpore negli Usa questo film o quello su Snowden?
“Ukraine on fire non è un mio film. Lo scorso anno stava per vincere l’Oscar World on fire, basato solo su testimonianze dei manifestanti. Era un prodotto Netflix, l’ho visto come membro dell’Academy, irritante, era giusto proporre un’altra versione”.
E il suo nuovo film “Snowden”?
“È un film di finzione, basato su un paio di libri e su fatti reali. L’ho scritto io e ne sono contento, e se sarà visto con mente aperta sono sicuro che avrà il suo pubblico. Quando faccio un film o lo produco non penso alle reazioni che susciterà. Anche se ho tutte le intenzioni di continuare con i film di finzione, tornerò a fare documentari. Non sono un amante di Hollywood e dello star system, perciò ho bisogno di restare sempre a contatto con la realtà”.
Repubblica