Il rapporto difficile con Hollywood, le tre esperienze di lavoro in Italia, due sfortunate e l’ultima molto felice con la coproduzione del suo ultimo Eo, con cui è arrivato, dopo il Gran Premio della Giuria a Cannes, a gareggiare per la prima volta agli Oscar.
Le 45 pagine di contratto per recitare in Gli Avengers, “di cui 10 erano dedicate a come relazionarmi con Scarlett Johansson, c’era una lunga lista delle parole che non mi era permesso usare con lei, fra cui nomignoli come ‘honey, ‘sweetheart’, darling”.
Sono fra i temi della conversazione con i giornalisti del grande regista polacco Jerzy Skolimowski, in Italia per partecipare come ospite d’onore della serata di apertura del Baff – Busto Arsizio Film Festival dove riceve il 15 aprile il Premio Speciale Baff 2023.
Il cineasta, classe 1938, accenna anche alla guerra in Ucraina, che il suo Paese ha alle porte: “Spero che il conflitto possa finire al più presto e che il prezzo per la pace non venga pagato dal lato ucraino. Il processo di negoziazione per la pace prenderà probabilmente un lungo periodo ma le due parti dovrebbero ricordare che ci sono nuove vittime ogni giorno”. Skolimowski, che nel 2016 ha anche ricevuto il Leone d’oro alla carriera (“è il premio a cui tengo di più”) ha tracciato un percorso libero, fra Paesi e generi, da Il vergine (1967), Orso d’oro a Berlino, a L’australiano (1978), Gran premio speciale della giuria a Cannes o The Lightship – La nave faro del 1985, Premio speciale della Giuria a Venezia, dove nel 2010 ha ricevuto anche il Gran premio della giuria per The Essential Killing.
Parlando della nuova generazione di autori, si dice contento “di vedere in gara a Cannes Alice Rohrwacher, autrice di un film che ho amato molto, Lazzaro Felice”. Non c’è invece nel programma della Croisette il nuovo film dell’amico Roman Polanski, che il delegato generale Fremaux ha detto di non aver visto: “Spero non ci sia stata una censura su Roman, i giudizi su creatore e persona dovrebbero rimanere separati”. Rispondendo alle domande, il cineasta torna anche a quando, verso metà anni ’80, era “sulla strada per essere corrotto da Hollywood” spiega. “Vivevo in una bella casa a Santa Monica, in California, mi offrivano film con grandi star e enormi budget.
Ne avevo accettato uno tratto da un libro terribile, quasi pornografico, ma con una trama interessante, ambientato a Vienna alla fine dell’800. La storia principale era un omicidio con una vicenda di degradazione sessuale sullo sfondo. Però dopo settimane di lavoro sullo script ho rinunciato. Non potevo abbandonare i principi morali che mi hanno sempre guidato”.
Complicate anche le prime due esperienze con il nostro Paese.
Nel 1967, dopo il blocco della censura in Polonia per Mani in alto! (uscito poi nel 1981), aveva accettato in Italia un progetto tratto da un romanzo di Conan Doyle, Gli exploit e le avventure del brigadiere Gerard: “La parte principale l’aveva Claudia Cardinale, che era al picco del suo successo. Era un privilegio per me lavorare con lei, ma non sapevo allora come gestire un progetto imponente come quello e ho rovinato il film (intitolato Le avventure di Gerard)”. Quasi vent’anni dopo non è stato facile neanche realizzare Acque di primavera, prodotto da Angelo Rizzoli: “Avrei voluto Sophie Marceau come protagonista, ma lei non si convinse. Il produttore quindi ha provato a imporre un’altra attrice, di cui non faccio il nome, ma dopo averla incontrata dissi che non avrei mai potuto lavorare con lei. Alla fine ho scelto io Nastassja Kinski”. Invece “Eo, che è una coproduzione italiana, girata anche in Italia, è riuscita molto bene”.
Come è stato andare agli Oscar? “Hollywood non è il mio posto favorito, ma è stata una grande soddisfazione avere la nomination per un piccolo film come questo nato dall’amore per gli animali e dal voler difenderne i diritti. Non ero entusiasta dal partecipare a tutti i loro riti, ma ne è valsa la pena”.