Il cantante: nell’album «L’altra metà» c’è una nuova fase: «I 50 anni compiuti lo scorso giugno sono stati un passaggio importante, uno spartiacque»
Francesco Renga ha una nuova prospettiva. Di vita e artistica. Si capisce a partire dal titolo del nuovo album, l’ottavo in carriera, che ha voluto chiamare L’altra metà. «Queste canzoni rappresentano l’altra metà del racconto della mia vita, della mia storia e della mia musica. I 50 anni compiuti lo scorso giugno sono stati un passaggio importante, uno spartiacque». Il privato è cambiato con il compleanno tondo e il consolidarsi di una nuova storia d’amore dopo la separazione da Ambra. Tutto condensato in Aspetto che torni, la canzone che ha portato a Sanremo e che apre l’album. «Quel brano mi ha fatto fare pace con la tematica dell’addio e dell’abbandono. Racconto di nuovi sentimenti, di mio padre in età avanzata, di mia madre scomparsa anni fa, per la prima volta mi sono visto come padre dei miei figli».La nuova fase è anche artistica. «In quell’occasione ho anche fatto pace con un modo di scrivere e di interpretare più classico». Che nel resto dell’album non si ritrova. Renga ha chiesto aiuto ad autori della nuova leva cantautorale: Ultimo, Gazzelle, Paolo Antonacci (figlio di Biagio), Danti, Di Martino, Leo Pari, Colapesce. «Voglio rimanere collegato a un mondo che cambia, avere un linguaggio che si adatta a quello che gira intorno e che possa parlare anche ai miei figli. La scrittura di questi ragazzi ha influenzato il mio modo di cantare. Sono stato più asciutto e diretto, ho evitato di cantarmi addosso. Si compie il percorso iniziato nel 2014 con Tempo reale, quando mi resi conto che il linguaggio popolare era mutato. Ora spero di avere davanti altri 35 anni di carriera».La «nuova» voce si sente chiaramente in L’odore del caffè, il singolo in radio in queste settimane, firmato da Ultimo. «È il cantante preferito di mia figlia. L’ho chiamato e gli ho detto che mi doveva dare assolutamente un pezzo. Sentire la sua demo mi ha spinto a usare un intervallo diverso». Francesco paragona la rivoluzione di questa nuova ondata a quella che lo vide, all’epoca dei Timoria, portare il rock in italiano fuori dalle cantine. «Sono tempi diversi, ma l’attitudine è la stessa: la voglia di raccontare il proprio tempo con un linguaggio, magari inconsapevolmente, di rottura. Conta il fatto che questi abbiano 20 anni come noi li avevamo allora. Lo vedo con i social: per loro sono naturali, per me un impegno. I miei figli mi hanno aiutato a capire dei meccanismi… però quando provo a coinvolgerli non vogliono apparire».In una strofa di L’amore del mostro canta «una volta mio fratello mi ha chiamato coglione». Autobiografica o è presa dalla vita dei co-autori? «A 17 anni mi ero comprato del fumo. Lo mostrai a mio fratello maggiore per vantarmi e sentirmi grande. Lui lo prese, lo buttò e mi ridiede i soldi apostrofandomi in quel modo. La canzone parla di quel lato oscuro dell’amore che abbiamo paura di tirare fuori e riusciamo a mostrare quando troviamo “quella” persona».
Andrea Laffranchi, corriere.it