Con più di vent’anni di carriera, la band è tornata con un nuovo album “Different Times”, uscito lo scorso anno. Questa sera, i Giardini di Mirò saranno sul palco dello Spazio 211 a Torino
I Giardini di Mirò vengono da Cavriago in provincia di Reggio Emilia. Ma la loro periferia è simile a quella di un sobborgo degli Stati Uniti o di una metropoli cinese. Insomma, sono tempi differenti, per citare il titolo del loro ultimo album, ma alcune cose rimangono le stesse. Un’ostinazione romantica, che è tipica delle periferie, appunto, ma anche del suono dei Giardini di Mirò. Un post rock ombroso e immaginifico che è stato capace di cambiare nel tempo, pur rimanendo sempre se stesso. Con più di vent’anni di carriera, la band torna con un nuovo disco, ma viene anche raccontata e ritratta in un libro omonimo, che ripercorre la loro storia. Intanto, i Giardini di Mirò sono impegnati in un tour, che oltre all’Italia li porterà fino in Cina. Questa sera però, toccherà allo Spazio 211 di Torino.Tra geografie diverse e uguali, la voglia di andare oltre i confini e una scena italiana, che oggi, «punta all’autarchia», La Stampa ha scambiato alcune riflessioni con Corrado Nuccini: chitarrista e cantante della band.
“Different Times”, perché questo titolo?
«Prima di tutto si tratta di una riflessione sul tempo, sui vent’anni e più alle nostre spalle. E’ chiaro che stiamo vivendo dei tempi differenti, un cambiamento epocale che coinvolge anche la band. Allo stesso tempo, è arrivato il momento di farsi delle domande: cosa è cambiato? Io credo che tutto si rinnova, ma ci sono delle dinamiche: un processo di globalizzazione generale, che rimangono sempre le stesse».
Infatti, non credo siano veramente dei tempi differenti.
«Stiamo parlando di un processo che dura nel tempo e di conseguenza ci sono degli aspetti che rimangono sempre gli stessi. Pensa alla foto di copertina (Una periferia di una metropoli cinese ndr.), ricorda le opere di Luigi Ghirri sulle periferie emiliane. Le periferie sono tutte uguali, sempre ostinatamente romantiche».
Allo stesso tempo vedo una similitudine tra la copertina e il suono dei Giardini di Mirò. Insomma, negli ultimi anni siete cambiati, ma ci sono sempre dei punti di riferimento. Un po’ come nella periferia della metropoli di Ningbo, in Cina.
«Ci sono sempre dei processi creativi dietro, anche nella scelta di una copertina, ma non sono mai quelli studiati a tavolino. Però è vero, c’è un collegamento mentale. Come dicevo prima, il filo conduttore è il romanticismo, un po’ come nella nostra musica».
In ”Different Times”, ci sono molte collaborazioni, mai così tante rispetto al passato.
«La premessa è che i Giardini di Mirò nascono con un cantante: Giuseppe Camuncoli, noto fumettista. Dopo la sua dipartita dalla band, abbiamo sempre pensato di non sostituirlo. Però, in molti casi avevamo bisogno di una voce . Per questo motivo, nascono le collaborazioni. Insomma, dalla necessità di supplire a questa mancanza. Ovviamente, dietro ognuna di esse c’è sempre una condivisione di intenti».
Il disco è uscito in contemporanea con un libro omonimo, che ripercorre i 20 anni di carriera.
«L’idea di un libro ci è stata proposta qualche anno fa e nell’ultimo anno abbiamo pensato fosse davvero il momento giusto di farlo uscire. La nostra storia è abbastanza simile a quella di molte altre band: la gavetta, i primi live, i chilometri macinati per suonare. L’unica differenza è che gli artisti degli anni ‘90 come noi, avevano un’utopia europeista, che un po’ si è persa. Per noi, suonare oltre i nostri confini era qualcosa di irrinunciabile. Oggi la scena italiana non è più così. È molto più autartica».
Infatti, se si pensa all’Itpop, è tutto limitato ai confini italiani
«Sono d’accordo. In particolare sull’ItPop, aggiungo anche che non comprendo questa eccessiva leggerezza. Non stiamo vivendo tempi semplici, anche per quanto riguarda la dimensione personale, intima. E’ sempre necessario guardarsi intorno, e quei musicisti non lo fanno. Allo stesso tempo, credo che si possa trattare di un altro linguaggio, figlio di questi tempi».
Parliamo del tour: in particolare delle date in Cina. Come è nata l’idea, che tipo di pubblico vi aspettate?
«Pocket Music, un’associazione locale ci ha contattato e ci ha chiesto di poter organizzare delle date nel Paese. Insomma, abbiamo dei fan da quelle parti. A differenza del Giappone, che per molti versi è occidentale, la Cina rimane ancora un mistero. Credo che però, ci sia un’attenzione per tutto quello che è europeo».
Marco Tonelli, lastampa.it