Tutto inizia a metà novembre. Per ascoltare le sue nuove canzoni Marco Mengoni ci invita nel suo studio di registrazione a Milano, lì dove è nato il suo nuovo disco, non un posto a caso ma quello in cui l’artista di Ronciglione ha trascorso giorni e nottate, insieme ai suoi collaboratori storici, per dare una forma materica ai suoi suoni, per stare a contatto con la musica, non solo per modo di dire, ma in maniera concreta, in mezzo agli strumenti, come atto di felicità e riconquista della musica materiale.
Materia infatti, è il titolo del nuovo progetto di Mengoni, sviluppato in tre dischi differenti che mostrano (e mostreranno) le sue diverse anime. Materia (Terra) è il primo, a sottolineare le sue radici, a ricercare un contatto che tanto è mancato in quest’ultimo periodo, cantando ricordi, riflessioni, lottando contro gli stereotipi, andando a capire cosa conta davvero per lui: l’amore. Uscito il 3 dicembre per Epic Records/Sony Music Italy, a due anni di distanza da Atlantico, il suo precedente lavoro.
Materia (Terra) è un disco suonato per la maggior parte in presa diretta, in maniera tradizionale. Lo dedica a sua madre, a tutto quello che da lei ha imparato, la sua radice e la sua origine. Tornando alla famiglia, il luogo che lo fa sentire al sicuro. Trovando la musica, l’unica cosa che cancella il dolore.
Ci sono le sue emozioni e le sue riflessioni. Marco per la prima volta parla a cuore aperto delle sue insicurezze, della sua sofferenza. Ne esce il racconto di un artista complesso, che ha imparato a raccontarsi senza più paura di mostrarsi, che ha trovato il suo rifugio, la sua cura, nella musica. Come forse è sempre stato, ma con una nuova consapevolezza. È la musica che salva, è la musica che permette di comunicare davvero quello che si prova. La scrittura si fa intensa, i suoi riempiono i vuoti. Le insicurezze si svelano, la paura grazie alla musica non scompare, ma si accetta. E si affronta.
Mengoni canta i cambiamenti in Cambia un uomo, il singolo che ha anticipato questo disco. Canta la fiducia in Mi fiderò e lo fa con una delle artiste più apprezzate della nuova generazione, Madame. Canta i ricordi in Il meno possibile, chiamando anche il suo amico Gazzelle, che aveva già collaborato con lui in Calci e Pugni. Poi il perdono in Un fiore contro il diluvio, perché è qualcosa che ora ha imparato a fare, partendo da se stesso. L’amore che salva in Luce, il brano forse più intenso del disco, o che sicuramente lo illumina. E l’amore al maschile in Proibito, perché le storie sono di tutti e l’amore è finalmente narrabile in maniera universale. E allora invece che dirlo e basta, è giusto cantarlo. Coinvolti nel disco anche i produttori a cui Marco affida consapevolmente i diversi brani, per la rifinitura finale. Purple Disco Machine, Mace, Takedo Gohara, B-Croma, Ceri e E.D.D. alias di Giovanni Pallotti, anche direttore artistico di questo progetto.
Si siede per terra, nella stanza del suo studio dove le casse a tutto volume riempiono il silenzio. Racconta senza filtro, lasciando che siano le canzoni a condurre il racconto. E il risultato è un disco bellissimo che prima dell’uscita abbiamo potuto anche ascoltare live, nella prima di tre serate suonate live davanti a media e fan, avvolti da un’atmosfera newyorkese, dentro a un luogo nascosto, come fosse un vero speakeasy, in un palazzo del centro di Milano. Con la consapevolezza che è nella dimensione dal vivo che Marco Mengoni dà il suo meglio a ricordarci che il prossimo appuntamento sarà allo stadio, nelle due date della prossima estate, il 19 e 22 giugno, a Milano e Roma, quando finalmente potrà condividere le sue canzoni di nuovo in mezzo a tutto il suo “esercito”.
«È un disco tutto suonato, le pre produzioni sono nate tutte nel mio studio. L’ultima parte è stata affidata a produttori diversi, scelti con molta cura, perché sapevo che avevano influenze simili a quelle che avevo messo all’interno del disco. Materia (Terra) parla di origini e radici. Sono origini personali, qui c’è la mia famiglia. Perché in tutti i momenti in cui mi sono allontanato o perso mi è sempre bastato tornare lì per ritrovare un centro. Il contatto con la materia. Che poi è terra. La mia».
«Mia mamma mi faceva ascoltare tanta musica afro americana. Tante influenze di questo disco provengono da lì, da soul, gospel, blues, R&B. Dal ragazzo che ero all’uomo che sono diventato sono andato a ricercare tantissimo. Ho sempre fatto molta ricerca, ma esterna. Basti pensare ad Atlantico, il mio disco precedente, che è stato un viaggio all’esterno. Qui c’è la mia anima, non a caso uno dei generi che ha preso la musica afro americana è il soul. È la musica che mi ha fatto riflettere e che sicuramente mi ha permesso di superare determinati momenti emotivi. Ho preso, metabolizzato e buttato fuori in questo disco, raccontando il motore che mi spinge a svegliarmi tutte le mattine e affrontare qualsiasi cosa mi si prospetti davanti: l’amore. Non potrei vivere senza».
«In questo tempo ho avuto la possibilità di stare tanto da solo. Mi sono messo a riflettere su tutti i tipi di relazioni, sulle mie esperienze e quelle degli altri. Ho fatto un percorso, in solitudine, riuscendo a trovare un contatto diverso con gli altri. Sono estremamente critico verso me stesso e da sempre mi analizzo e analizzo ogni comportamento. Sono una persona molto pesante di natura, con me stesso soprattutto, e alla tenera età di 33 anni ho capito che qualcosa non andava e mi dovevo perdonare delle cose. E dovevo perdonarle agli altri, non più formalmente ma nella sostanza. Se non ti perdoni tu e non superi i tuoi errori rimarrà falsato il perdono che concedi agli altri».
«Ho sofferto molto nella vita e ho portato tante cose sulle spalle, sentendone il peso. Crescendo bisogna provare a buttarle fuori, ora ho la maturità di capire quello che ho passato. La musica è uno dei mezzi più istintivi che ho di comunicare, lenisce le mie ferite, leva le zavorre. Mi fa soffrire meno. Certo bisogna provare a non buttarle fuori tutte insieme».
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