È successo in una regione del Nord Italia dove un piccolo gestore ha comunicato ai propri clienti l’intenzione di annullare i contratti se non saranno interrotte le attività pirata online. Dietro a questa mossa, and la pressione delle major di Hollywood
di DARIO D’ELIA*
Scarichi film illegalmente? Il provider potrebbe “staccarti” internetCOME reagireste se il vostro Internet provider vi chiedesse di smettere immediatamente di scaricare musica e film pirata, minacciandovi di staccarvi la spina? Dopo un primo momento di panico e stupore, probabilmente vi porreste tante domande. Uno scherzo? Un abuso? Come hanno fatto? Come si permettono? Siamo venuti a conoscenza di una prassi non troppo pubblicizzata che viene adottata da alcuni piccoli provider. Abbiamo avuto conferma dai grandi operatori nazionali che si tratta di una stranezza e che loro non hanno mai fatto nulla di simile.
Per correttezza abbiamo deciso di proteggere le nostre fonti poiché la priorità non è mettere qualcuno alla gogna, bensì far emergere una criticità degna di interesse. Tutto è iniziato con la segnalazione da parte di un lettore. Aveva ricevuto una comunicazione piuttosto informale – via mail e dunque senza valore legale – da parte del suo provider. Una società di modeste dimensioni del Nord Italia. Con la mail si intimava di terminare ogni (presunta) attività pirata online, nello specifico il download di materiale protetto da copyright. Si parla di soprattutto di film e telefilm.
“Ci sono arrivate numerose segnalazioni di utilizzo illecito del suo collegamento da parte di molteplici detentori dei diritti a mezzo diretto o dei loro uffici legali (Viacom, Paramount, Metro Goldwin Mayer e altre case di distribuzione)”, si legge nella mail. “Esse contengono precisi dettagli relativi al materiale scaricato, agli orari di download, all’indirizzo IP utilizzato, alla titolarità dei diritti di chi effettua la segnalazione, il tutto con regolari recapiti di contatto, assunzione di responsabilità delle affermazioni contenute e firma digitale con certificato valido e confermato in merito all’autenticità del mittente e contenuto dei messaggi”. Il rischio è che i detentori dei diritti avrebbero potuto procedere per via legali – coinvolgendo anche l’azienda “come complice dell’attività” – se ogni azione illegale non fosse cessata. “Gentilmente le chiediamo di darci riscontro entro 48 ore. In caso di mancato o non corretto riscontro ci vedremo costretti a procedere con la disdetta del servizio”, così concludeva la mail.
L’avvocato Guido Scorza, specialista nel settore del copyright, ci ha confermato l’anomalia della prassi, a prescindere dal fatto che l’utente avesse o meno scaricato materiale illegale. “Ricorda il caso della FAPAV (Federazione antipirateria audiovisiva, ndr) che nel 2010 tirò in ballo la responsabilità dei provider nei confronti delle segnalazioni da parte dei detentori di copyright”, ha detto l’avvocato. “La Federazione avrebbe voluto i nominativi dei clienti per poi procedere per vie legali, ma i provider si opposero”. La causa presso il Tribunale di Roma si risolse con la sconfitta della FAPAV anche a seguito di una dura presa di posizione del Garante della Privacy, che sottolineò l’irregolarità dell’investigazione online attuata ai danni degli utenti.
“Lo stesso successe con il caso Peppermint nel 2006, dove sostanzialmente lo studio legale della casa discografica acquisiva i nominativi attraverso il provider e scriveva direttamente minacciando. Siamo sulla quella scia”, ricorda Scorza. “Resta il fatto che c’è un trattamento illecito dei dati personali. L’acquisizione dell’indirizzo IP e l’analisi del traffico è tollerata solo in un caso, ovvero quando si voglia far valere un proprio diritto in tribunale”.
“Persino nel regolamento Agcom e nella temuta legge Hadopi francese il trattamento dati è svolto da un soggetto pubblico con ausilio di associazione di categoria. Nella vicenda segnalatami invece abbiamo un monitoraggio che traccia il comportamento degli utenti”. Da una parte è discutibile l’azione dei detentori di copyright e loro intermediari, dall’altra il provider si mette in una posizione difficile facendosi messaggero di una richiesta che sa di minaccia.
“La condotta del provider è curiosa ma non illecita. Nel caso in cui decida di annullare il contratto dell’utente però si potrebbe profilare un abuso di diritto. Recedere unilateralmente per problemi infrastrutturali è un conto, farlo perché un terzo sostiene che un cliente è responsabile di pirateria è altra cosa. Solo un tribunale può decidere se un utente è un pirata o meno”, conclude Scorza.
L’amministratore delegato del piccolo provider di questa vicenda ci ha confermato al telefono di ricevere centinaia di segnalazioni settimanali da parte delle major o studi legali. Lettere circostanziate con tutti i dettagli: file scaricato, orario di avvio e fine download, indirizzo IP, etc. Ovviamente manca il nome dell’utente, ma questo può saperlo solo il provider. La prassi è quella di informare del problema gli abbonati e contemporaneamente consigliare il controllo dei PC – per escludere il rischio di abusi perpetrati da altri.
“Ciò che le è richiesto in questo momento da parte nostra è di accertarsi che il suo collegamento non venga più utilizzato per attività di download illecito e di proteggerlo in caso lei sia sicuro/a di non aver mai scaricato nulla”, si legge infatti nella comunicazione recapitata al cliente. Dopodiché nel caso l’attività illegale prosegua, il provider interviene annullando il contratto sfruttando una clausola che comunque non tira in ballo la pirateria. A memoria dell’AD sembrerebbe essere successo in pochi casi negli ultimi anni. Da sottolineare comunque che il provider non ha mai fornito i nominativi ai detentori di copyright.
Non è chiaro quanto sia diffusa questo tipo di prassi fra i piccoli provider. Il dirigente si è limitato a rispondere che alcuni colleghi preferiscono ignorare le comunicazioni delle major. In una conversazione con un consulente legale che collabora con grandi provider nazionali abbiamo avuto conferma dell’anomalia di questa procedura. Normalmente vengono accolte solo comunicazioni ufficiali via PEC o raccomandata dove si possa identificare con sicurezza l’autorevolezza del mittente. In secondo luogo i riferimenti normativi sono il vecchio Decreto Urbani e il nuovo regolamento Antipirateria dell’Agcom. Il Decreto permette ai detentori di copyright di segnalare irregolarità ai provider, ma questi ultimi non hanno nessun obbligo d’azione. Di solito si cautelano informando a loro volta l’autorità giudiziaria e l’Agcom, lasciando a loro l’iniziativa.
Il Garante delle Comunicazioni ha una sua procedura che prevede l’apertura di un’istruttoria per le verifiche del caso, ma normalmente ha a che fare con l’attività pirata di siti o piattaforme web, non singoli utenti. I provider quindi agiscono su indicazioni del Garante o per ordine dei giudici, che possono emettere provvedimenti di oscuramento di specifici domini.
Il consulente legale ci ha assicurato che in base alla sua esperienza sul campo i provider nazionali non hanno mai agito da poliziotti e mai lo faranno, a meno che non intervenga una modifica della legge in materia. Probabilmente i piccoli provider sono più vulnerabili alle presunte minacce degli intermediari che curano gli interessi dei detentori di copyright. È pur vero che mai nessuno è stato coinvolto in cause legali di pirateria per connivenza con l’attività dei propri clienti, ma il timore rimane.
Per quanto riguarda l’attività di “spionaggio” svolta da alcune società specializzate nello scovare i pirati è probabile che le maglie legislative del mondo anglosassone siano più larghe. E spesso gli specialisti hanno sede proprio in queste realtà, che consentono una maggiore libertà d’azione in campo di investigazione digitale privata. In Italia questo non sarebbe possibile.
L’ultimo dettaglio riguarda i contratti dei provider. È possibile che una piccola società possa inserire qualche voce riguardante attività online non tollerate, come appunto il traffico pirata, e che quindi l’annullamento del contratto diventi plausibile. Ma sembra davvero un’eccezione alle pratiche più diffuse. Ad ogni modo non risolve il nodo della violazione della privacy attuata nei confronti del cliente da terzi. Ricevere una comunicazione di questo tipo è sempre spiacevole. A prescindere che l’utente sia responsabile o meno di pirateria bisogna ricordare che la sola mail non è un abuso. L’eventuale rottura del contratto dal provider invece sì.
È evidente che nel caso in cui si sia responsabili di download pirata sarebbe il caso di interrompere ogni attività a scopo cautelativo. E poi magari successivamente cambiare provider. In caso contrario, ovvero totale innocenza, sarebbe corretto affidarsi a un’associazione dei consumatori oppure rivolgersi direttamente ad Agcom oppure Corecom locale. In sintesi. La comunicazione di eventuali violazioni di copyright non è illegale. Il monitoraggio online per scovare eventuali pirati (in Italia) non è tollerato a meno che non sia un’azione guidata dalla magistratura o dagli inquirenti. I privati potrebbero far valere le prove raccolte in autonomia di fronte alla Giustizia, ma il passaggio non è scontato.
Il rischio di violazione della privacy è fortissimo. Dopodiché è discutibile la minaccia dei detentori di copyright nei confronti dei provider e anche quella di quest’ultimi nei confronti dei clienti finali. La sospensione di un servizio Internet, a causa di pirateria, è presumibilmente un abuso di diritto, a meno che nel contratto non sia presente una voce specifica che contempli l’opzione.
(*) della redazione di Tom’s Hardware