«The Last Black Man In San Francisco», un impegnato dramma sociale in concorso a Locarno

«The Last Black Man In San Francisco», un impegnato dramma sociale in concorso a Locarno

All’interno della competizione principale del Festival svizzero l’opera prima dell’americano Joe Talbot, già premiata al Sundance Film Festival.

Un esordio che punta al Pardo d’oro: si tratta di «The Last Black Man In San Francisco», opera prima dell’americano Joe Talbot, già premiata al Sundance Film Festival. Tra i titoli più attesi del concorso di Locarno, il film ha per protagonista Jimmy, un ragazzo di colore che è disposto a tutto pur di riottenere la splendida villa di famiglia, costruita da suo nonno negli anni ’40. Quando gli inquilini se ne vanno, Jimmy e un suo amico occupano la casa, riuscendo finalmente ad avere uno spazio proprio in cui vivere.È un grande omaggio a San Francisco (una città che, come evidenziato in un punto cruciale del film, «si può odiare soltanto se la si ama») questa pellicola che ragiona con forza sul tema della gentrification, prendendo il caso del protagonista come emblema di intere famiglie che sono state costrette a vendere la propria abitazione a causa della riqualificazione urbana.Non è (sol)tanto un film sul razzismo, ma un lungometraggio incentrato sulle differenze sociali, dal taglio impegnato e ironico allo stesso tempo: scritto dal regista insieme a Jimmie Fails (quest’ultimo è anche l’attore principale in un ruolo che è stato in parte ispirato alla sua vita), «The Last Black Man In San Francisco» riesce a scuotere e a far sorridere, dimostrando come anche un esordiente possa realizzare un lavoro di buona maturità.Soprattutto nella prima parte, il film ha dalla sua una regia fresca e suggestiva, valorizzata inoltre dalla cura del montaggio e della colonna sonora. Qualche pecca, invece, si ha in un copione che è vittima di qualche passaggio retorico di troppo, ma che in ogni caso non toglie valore alla resa complessiva dell’operazione. Buona anche la prova del cast per un titolo che meriterebbe di entrare nel palmarès finale della manifestazione.Altro titolo molto atteso del concorso è «A Girl Missing» di Koji Fukada, regista giapponese conosciuto per «Sayonara» e «Harmonium» (quest’ultimo era stato premiato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2016).Protagonista è Ichiko, un’infermiera che lavora per una famiglia di cui fa praticamente parte. Un giorno, però, la sorella più giovane della famiglia scompare e i media rivelano che il rapitore è il nipote della stessa Ichiko.Con la consueta eleganza, Fukada dà vita a una narrazione a incastri, ricca di tematiche differenti, dalla senilità al mistero dell’omicidio, passando anche per i complicati legami famigliari. Argomenti tipici del cinema del regista che confluiscono in quest’opera coinvolgente, anche se in netto calo verso la conclusione. A tratti altalenante e decisamente macchinoso nello sviluppo drammaturgico, il film regala però diverse sequenze di notevole impatto emotivo e un’interpretazione di grande spessore: Mariko Tsutsui, che aveva già lavorato con il regista in «Harmonium», è da tenere in grande considerazione per il premio alla miglior attrice del festival.

Andrea Chimento, ilsole24ore.com

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