Non sono i ‘colpi del destino’ della terza sinfonia di Beethoven, ma colpì molto più forti, poco musicali, veri boati che sente la protagonista di MEMORIA del tailandese Apichatpong Weerasethakul, ovvero Jennifer (Tilda Swinton) coltivatrice di orchidee in visita a sua sorella malata a Bogotà.
E questi colpi non sono le sole strane cose che accadono in questo film, in corsa in questa 74/ma edizione del Festival di Cannes, non a caso firmato da un regista abituato a lavorare in una prospettiva antropologica e metafisica alla stesso tempo alla ricerca delle voci della natura come del senso della vita e dei suoi segni.
Sconvolta da questi suoni, che sembrano venire dal centro della terra, la donna ne cerca ossessivamente il significato anche per liberarsene: non riesce infatti più a dormire.
Va così da un ingegnere musicale e musicista (Elkin Diaz) per ricostruire lentamente e fedelmente il suono e incontra anche un archeologo francese (Jeanne Balibar) con il quale fa amicizia.
A Bogotà viene a sapere di una tribù brasiliana, ‘gli invisibili’, che evitano il contatto con gli altri e assiste poi a una sinfonia di allarmi, di auto e di appartamento, che suonano e si tacciono all’unisono.
Insomma in MEMORIA, il primo film in lingua inglese del regista, tanta evocazione, come era stato per LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI, Palma d’oro a Cannes nel 2010, ma ancora meno azione. E tutto nel segno di un minimalismo perfetto per un’esperta in sottrazioni come La Swinton.
“Lei si considera totalmente operativa rispetto al film di cui condivide in pieno le responsabilità – dice il regista dell’attrice -. È sul set non solo per recitare, ma per la sincronia di tutto anche dell’inquadratura. Quindi, in un certo senso, è una regista come me”.
“Amo cucinare, pianificare le cose insieme agli altri e anche osare con le persone di cui ci si fida davvero” dice invece l’attrice scozzese a Variety.
E in questo senso aggiunge la Swinton: “Ciò che amo di più è la conversazione su ciò che si sta facendo. I film in fondo sono solo foglie che cadono dall’albero, ma l’albero è la conversazione”.
“Swinton non partecipa a una produzione, ma è come se si unisse a una famiglia – dice Weerasethakul – Ha suggerito ad esempio di organizzare feste per celebrare alcune pietre miliari della produzione del film, come il trasferimento in una nuova location o il raggiungimento di cento rullini di pellicola”.
E ancora il regista cinquantenne: “Tilda preparava poi da bere, zuppe, andava in giro a servire tutti, ballava: queste attività sono importanti quanto la realizzazione dello stesso film”.
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