«Non ho mai inseguito il modello della donna di spettacolo bella e decorativa. Non perché sia particolarmente lungimirante, era solo la mia natura. Ed è stata la mia salvezza». Loretta Goggi, a quasi 71 anni, resta una delle figure più moderne dello spettacolo. Pioniera, anzi, «pesce pilota», come si definisce, di nuove sfide — prima donna ad aver fatto le imitazioni in tv, condotto Sanremo, un quiz, il primo varietà di Mediaset —, la sua agenda è sempre fitta.
Il 12 luglio ha debuttato su Sky Cinema Uno (e in streaming su Now) nel cast di «Ritorno al crimine». «Mi piaceva l’idea di interpretare il ruolo di un’anziana in sedia a rotelle. Quando Alessandro Gassmann mi vede, dice: “Ammazza che crollo verticale”».
Non è scontato che una diva accetti questa ironia, no?
«Per me è automatico. Mio marito (Gianni Brezza, ndr) era molto bello e io gli dicevo: “Arriverà il giorno in cui pareggeremo in conti”. Essere nella media aiuta: chi è troppo bello soffre nell’invecchiare, a me non può fregare di meno. Oggi penso di essere un tipo, ma non ho mai investito sull’aspetto».
Com’è uscita dai cliché?
«Non sempre è stato semplice far capire le mie battaglie. Nei miei esordi da attrice mi davano la parte della buona, della malata, dell’orfana… Quando, con le imitazioni, ho scoperto che sapevo far ridere, è stata una vittoria».
C’era chi non ci credeva?
«A quei tempi Raffaella (Carrà, ndr) era il simbolo del sex appeal. Io avevo vent’anni: in Rai ci si chiedeva come si potesse far fare Canzonissima “a una patata lessa” come me. Eppure sentivo che la mia strada non era quella delle altre: ho scelto anche di non indossare mai piume e paillettes, per dire, ma gli abiti di una donna vera. Volevo essere la Monica Vitti della tv».
Per farlo ha lasciato la Rai.
«Ero convinta che funzionasse una preparazione all’inglese, in cui sai fare tutto. Ma pensavano volesse dire non fare bene niente. Mi sono detta: ci metterò di più. Cambiavo anche le pettinature e mi dicevano che così non ero riconoscibile. Poi ho messo tutto nel primo varietà Mediaset, “Hello Goggi”».
Una consacrazione.
«Avere credibilità è stato faticoso. E ancora non penso di essere reputata un pilastro dello spettacolo: ci sono tante icone — Mike, Corrado, Pippo, Raffaella —, io non sono tra quelle. Cambiare sempre non mi ha resa un simbolo».
Eppure ha diversi primati.
«Quando ho presentato Sanremo si diceva che una donna non poteva avere in mano una cosa del genere. Non lo accettavo. Ma alla fine anche in Rai ho fatto tutto».
È stata anche la voce di Titti. Gigi Proietti era Gatto Silvestro.
«I miei sogni erano lavorare con lui e Johnny Dorelli: li ho realizzati. In America Titti è un maschio: io avevo 15 anni e l’avevo immaginato con quella voce sottile e la “elle” al posto della “erre”».
«Ricomincio dal crimine» parla anche di un viaggio nel tempo. Se potesse, dove andrebbe?
«All’incontro con mio marito. È stato fondamentale: mi ha fatto capire che ero una donna interessante, spiritosa. Ripeteva: “Sei l’ unica che mi fa ridere, ma liberati dai complessi”. Grazie a lui sono riuscita a fare i miei one-woman show. Non avrei avuto il coraggio».
Litigavate?
«Tantissimo. Lo scontro serve a capire. Poi mi sono innamorata dei suoi difetti. Lui mi ripeteva: “Può avere un caratteraccio solo chi ha carattere”. Non potevi parlargli, la mattina, fino al secondo caffè: perfino i nostri cani lo avevano capito. Volendo a tutti i costi che le cose andassero bene ho smussato i miei angoli. Mi ero detta: il mio lavoro è far funzionare il nostro matrimonio, lo spettacolo diventa il mio più bell’hobby».
Chiara Maffioletti, corriere.it