“L’immortale”, l’infanzia del boss D’Amore: in un film i suoi segreti

“L’immortale”, l’infanzia del boss D’Amore: in un film i suoi segreti

«Il 23 novembre 1980, giorno del terremoto a Napoli, Ciro Di Marzio aveva 21 giorni. Era nato il 2, commemorazione dei defunti. In quel momento, unico sopravvissuto nel crollo della sua palazzina, diventa l’Immortale. Personaggio epico, per quanto si possa definire tale un eroe negativo». È più di un alter ego per Marco D’Amore che gli presta il volto da quattro stagioni di Gomorra. «È il più eretico, legato ai più alti slanci emotivi. Il male assoluto, la violenza ingiustificabile ma anche la tenerezza improvvisa di una carezza, la compassione per il dolore, il gesto del sacrificio. Un personaggio totale». Lo studia da anni, non solo come attore. L’ha sezionato, analizzato, ne ha immaginato infiniti snodi narrativi. «Un’ossessione, sì». Che prende la forma, adesso, di un film, L’immortale, di cui Marco D’Amore, oltre che interprete e sceneggiatore (con Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli e Francesco Ghiaccio, team creativo della serie Sky), è anche regista. «Avevo avuto l’idea alla fine della seconda stagione di Gomorra, è stato un percorso lungo. Ho scritto tanto, ho voluto raccontarlo in un’età che non avesse a che fare con la consapevolezza. La vita di Ciro bambino coincide con un’epoca importante per Napoli. Non pensavo di dirigerlo, è stato Riccardo Tozzi di Cattleya a convincermi». L’immortale uscirà il 12 dicembre, per Vision. «Non è uno spin off, ma uno snodo tra quarta e quinta stagione, un cross-over. Un ponte tra sala e tv, un esperimento inedito». Dunque Ciro ci sarà nella quinta stagione di Gomorra? «Mah, per me Ciro c’è stato anche nella quarta. Le presenze possono assumere dimensioni diverse».

Le Vele di Scampia

Siamo sul set, si gira a Scampia, l’ingresso del piccolo Ciro (Giuseppe Aiello, undici anni, faccia da scugnizzo) alle Vele. Trovarlo, racconta D’Amore, non è stato facile. «Abbiamo visto circa quattrocento bambini. Peppino è di Scampia, abita nelle Vele, il provino è stato guardarci a lungo negli occhi. Ci siamo riconosciuti». Sette settimane di riprese, ormai concluse, tra Roma, Napoli e Riga, dove D’Amore è anche attore. Il cuore del racconto è l’educazione criminale di Ciro a nove anni. «Un orfano, ha perso tutto, si è ritrovato solo dopo il terremoto. Il racconto è anche quello di una città collassata in un momento di grande povertà in cui le istituzioni lasciarono allo sbaraglio generazioni diventate facili prede della criminalità in fase di riorganizzazione. Non più quella del contrabbando e contraffazione ma della droga, delle armi. La Nuova camorra organizzata di Cutolo inizia a assumere un assetto militare e le famiglie dell’area nord di Napoli, Scampia e Secondigliano, assoldano quelli usciti dal contrabbando. Con i bambini, animelle sperdute, che si trasformano in manovalanza armata». D’Amore ha imparato a conoscere Scampia: anche da regista gioca in casa. «Il quartiere è cambiato moltissimo, tra libro, film, e con la serie. Si è rinnovato lo spirito delle persone. C’è finalmente un disgusto per certe dinamiche. E, grazie all’associazionismo, c’è una presa di coscienza rispetto alle possibilità della vita. Per troppo tempo la gente ignorava cos’altro ci fosse fuori da qui. Ci sono ragazzi che non sono mai stati al Vomero, a via Caracciolo, mai visto il mare di Napoli. E siamo a due chilometri in linea d’aria. Non solo perché non ne avevano la possibilità ma anche perché sapevano che si sarebbero sentiti dei reietti. Ora cresce la consapevolezza che un’altra vita è possibile. Tanti di loro sono diventati professionisti del cinema. A parte gli attori, da qui sono usciti manovali, elettricisti, gente che lavora sui set. Questo ribalta il cliché che vuole Gomorra che condanna Scampia. Sta accadendo il contrario: i riflettori la stanno aiutando a ripartire». In quanto a lui,«Gomorra è un caleidoscopio, un’occasione di crescita professionale unica. Io ho curiosità per tutto il processo, non mi sento attore, non sogno ruoli ma storie, posso fare passi indietro e mettermi al servizio del racconto come ho fatto per Dolcissime che con Francesco Ghiaccio presentiamo a Giffoni. L’ho scritto e prodotto, l’ha diretto lui».

Stefania Ulivi, corriere.it

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