L’attrice ospite d’onore della prima giornata del “Filming Italy Sardegna Festival”: «“24-7” è un debutto, ma anche il frutto di tanti anni di esperienza nelle serie tv»
Un piccolo, inesauribile, vulcano di vitalità. Nata in Texas, in una città che si chiama Corpus Christi, cresciuta in una famiglia di origini messicane, piena di donne e di tenacia, Eva Longoria (classe 1975), ospite d’onore della prima giornata del «Filming Italy Sardegna Festival» diretto da Tiziana Rocca, ha idee chiare, progetti precisi, ricordi nitidi. Soprattutto, a dispetto delle misure da Venere tascabile, comunica un senso forte di determinazione, la consapevolezza di chi guarda il futuro sapendo bene a cosa puntare: «I movimenti del “MeToo” e di “Time’s up” sono importanti e hanno permesso il raggiungimento di tanti obiettivi. Però c’è ancora molto da fare. Spero soprattutto che cresca l’abitudine di collegare quel tipo di mobilitazioni per la parità tra i generi non solo al mondo dello spettacolo, ma anche a tutti gli altri ambiti lavorativi. Il patriarcato esiste ancora, il caso Weinstein ha aumentato il livello della coscienza femminile e ha portato finalmente alla luce cose che tutti sapevano. Noi donne abbiamo saputo trasformare il dolore in potere, cambiando il flusso della comunicazione a livello globale, sono stati creati organismi che si occupano di offrire sostegno alle persone che denunciano molestie, ma bisogna continuare a lottare, ci vuole tempo».
Ha prodotto e diretto la nuova serie «Grand Hotel» in onda quest’estate su FoxLife, e sta per debuttare come regista anche nel cinema, con il film «24-7». Che cosa l’attira di più di questa esperienza?
«Soprattutto la possibilità del controllo sul prodotto finale, cosa che, quando sono solo attrice, so di non poter avere. Attraverso la regia il mio potenziale può esprimersi completamente e mi pare che questo mestiere mi si addica. “24-7” è un debutto, ma anche il frutto di tanti anni di esperienza nelle serie tv».
Che storia racconta?
«Recito con Kerry Washington, si tratta di una commedia ambientata in un luogo di lavoro dove un gruppo di impiegate si misura con colleghi uomini. Proviamo a esplorare la situazione delle donne dopo il “Time’s up”, dimostrando che, dopo tutto quello che è successo, le cose non sono poi così cambiate».
E’ diventata famosa grazie al ruolo di Gabrielle Solis nella serie cult «Desperate Housewives». Che cosa ha rappresentato per lei quell’esperienza?
«Tantissimo. Sono stati dieci anni fondamentali della mia vita, è stato molto divertente interpretare quel personaggio, anche perchè è completamente diverso da me. Abbiamo dimostrato che le vicende di quattro donne potevano provocare un interesse e un successo mondiali, una serie amata dal pubblico delle più diverse parti del globo, cosa che accade di rado. Di quell’epoca mi manca la sorellanza con le mie colleghe, l’andare sul set tutti i giorni, l’opportunità di rendere al meglio le varie sfaccettature della personalità di Gabrielle».
E’ cresciuta insieme a tre sorelle, quanto ha pesato il clima familiare sul suo modo di essere?
«Ho sempre avvertito un forte senso di unione, che è rimasto intatto, anche adesso. Le mie sorelle fanno lavori molto diversi dal mio, nessuna di loro è impegnata in campo artistico, sono l’unica che ha scelto questa strada, e ciò ha suscitato molte domande, tipo “ma perchè vuoi fare proprio questo mestiere?”».
E’ difficile, per lei, vivere in un Paese guidato da un presidente da cui non si sente rappresentata?
«E’ molto complicato, oggi, navigare in un universo dove prevale l’intolleranza. Questo non riguarda solo gli Stati Uniti, ma anche molti altri luoghi, la Francia, il Sudan, il Messico, sì, anche l’Italia. Ma la democrazia è proprio questo, subire decisioni che a volte non sono state prese da noi. Ora dobbiamo concentrarci sulle prossime elezioni, lavorare per sostenere le minoranze, le donne, i diritti Lgbt».
Qual è stato l’incontro più importante della sua vita?
«Quello con Barack Obama, ho avuto la possibilità di lavorare fianco a fianco con lui per migliorare la situazione dei latini in America, ho scoperto una persona brillante, appassionata, capace di ascoltare gli altri, dotata di un’intelligenza sofisticata e di una grande eleganza. Una persona che mi ha cambiato la vita, e di cui tutti sentiamo forte la mancanza».
Fulvia Caprara, lastampa.it