“Don Dada” è il nuovo album di Don Joe, che come tiene a sottolineare il producer a Tgcom24 è più un mixtape che un album vero e proprio. Un lavoro che nasce da un ricerca meticolosa dove a fare da filo conduttore è il gusto personale dell’artista che sceglie nuove promesse dell’urban (da Mikush a Medy) e icone come i “vecchi” compagni di viaggio Jake La Furia, Guè ed Ernia. Il risultato sono 12 tracce che si mescolano tra ballad malinconiche e banger potentissimi. La cover è una caricatura che ricalca i suoi mitici baffetti e il titolo richiama al gergo giamaicano che significa “padre di tutto”. Per uno dei padri del rap game italiano non poteva essere che così.
Don Joe, partiamo dal titolo, “Don Dada”, perché questa scelta?
Intanto perché suonava bene. Dada deriva dal gergo giamaicano che significa il ‘padre di tutto’. E’ il loro plus ultra. Così l’ho preso a prestito, d’altronde a livello di produzione musicale mi hanno sempre definito così…
Si sente molto il tuo gusto personale, quanto è importante lasciare la propria impronta?
Poterebbe sembrare apparentemente un po’ un frullato di tutto quello che ascolto. Oggi in realtà ci sono le varie declinazioni dell’hip hop, c’è la trap il reggaeton ecc che fanno tutte parte tutte di una cultura che è quella dell’urban. Così ho cercato di dare la mia espressione in ogni brano, ho portato i miei gusti personali.
Che album è Don Dada?
Sembra più un mixtape che un album come poteva essere ‘Milano Soprano’ che aveva come filo conduttore Milano. Ho chiamato artisti che il più delle volte sono emergenti e poi è condito con altri big con cui lavoro da tempo.
Nell’album si mescolano icone e nuove promesse, con quale criterio li hai scelti?
La scelta è sempre molto personale, i più giovani sono artisti che trovo sulla rete, li seguo dagli inizi, faccio una grande una ricerca.
Cosa ti incuriosisce di più nei giovani?
Per prima cosa la voce e lo stile, la metrica. A quello che dicono penso dopo. Mi piace sentire subito come le parole stanno sulla musica. Cerco di conoscerli personalmente e di andare vederli durante i live. E spesso ritrovo in loro quello che noi abbiamo fatto da giovani. Quel loro essere così sfacciati e il fatto di rischiare.