Achille Lauro pubblica Lauro, il suo nuovo album in uscita il 16 aprile. Reduce da un’edizione del Festival di Sanremo che l’ha visto protagonista nel ruolo di ospite d’onore per tutte le serate, l’artista romano affida a questo album una serie di canzoni con caratteristiche molto diverse una dall’altra, anche se idealmente divise nelle due ideali facciate per quelli che Lauro definisce come i due stati d’animo di fondo che le caratterizzano, “la malinconia con cui guardo al passato e l’entusiasmo per il sogno che proietto nel futuro: io non vivo mai il presente”, spiega Lauro nel corso di una affollata conferenza stampa su Zoom.
“In questi ultimi mesi, tutti chiusi nelle case per questa tremenda emergenza sanitaria, ho cercato di fare necessità virtù”, ha raccontato. “Così mi sono ritrovato con un centinaio di brani scritti, su taccuini e fogli e fogli sparsi, e con la voglia di lavorarci e farli ascoltare. Sono usciti 1990 e 1920, due progetti laterali del mio album 1969 che ho deciso di tirar fuori prima di questo album Lauro che ho voluto chiamare così perché rappresenta molto me stesso. Erano infatti rimaste fuori le canzoni che forse sentivo più personali, tra loro simili per alcune caratteristiche: io con le canzoni fotografo una parte di me, cerco di fermare una delle mie tante personalità, e questo album ne è un ottimo esempio”. Ecco allora tra le nuove canzoni Generazione X “in cui fotografo la mia generazione” dice Lauro, “che non crede più in certe istituzioni come la chiesa e il matrimonio, ma in cui i ragazzi non credono più neanche in loro stessi, non sanno chi vogliono essere, vivono solo nel presente e puntano ad avere lo stipendio di mille euro purché sia, senza più un sogno da raggiungere. Una generazione segnata dalla dipendenza dalla tecnologia, la mela di Jobs, per tanti aspetti positiva ma con tante negatività e chissà quali imprevisti nel futuro”.
Poi c’è Femmina, che racconta di come “il maschio nei momenti di crisi in una coppia preferisca nascondersi dietro alla sua virilità, vengo da una periferia in cui non c’è rispetto della figura femminile. Io ho avuto la fortuna di capire chi volevo diventare a 12 anni, scrivevo la notte, nella comune in cui sono cresciuto c’era gente più grande di me, persone che sono stati il mio punto di riferimento in negativo: rappresentavano tutto quello che io non volevo diventare. Ma la mia vita non la rinnego, con molti di loro sono rimasto in contatto, li aiuto. Devo ringraziare il mio quartiere e la mia città, Roma è una città molto grande e dispersiva dove la gente vive un senso di abbandono. Eppure è una città poetica che ti regala anche tanto, non è un caso che i cantautori più sinceri siano nati artisticamente qui, Rino Gaetano, Franco Califano, gente che ha messo le sue emozioni vere in ciò che ha fatto, e oggi ci sono Mannarino e Coez“.
Poi si parla di identità e differenze di genere, se la sua esposizione anche a Sanremo abbia aiutato a riflettere su questo tema in questi giorni in cui si discute del ddl Zan: “Siamo figli di cent’anni di stereotipi pericolosi, se questi sono i presupposti non abbiamo imparato niente dalla storia. Anche se io non mi siedo a scrivere per fare delle battaglie sociali, sono vicino a questi temi” dice Achille Lauro. “Sono stato varie volte ospite di Vladimir Luxuria al Festival di Torino che trattava proprio di questi temi, sono vicino a ogni iniziativa per la difesa dei diritti umani, non solo su chi amare, ma anche nella scelte di pensare in modo diverso dei giovani, sulla libertà nella musica. Viviamo un momento di transizione, costringere le persone nei recinti significa imprigionarci, mi sembra assurdo che non sia una priorità, siamo schiavi di anni di stereotipi”.
Carlo Moretti, Repubblica.it