Presentata in anteprima al RomaFictionFest, il docu-drama di otto ore ‘When We Rise’ racconta – dal 1969 a oggi – battaglie e conquiste della comunità Lgbtq. Abbiamo incontrato Gus Van Sant, regista dei primi 84 minuti: “Considero già una vittoria che la ABC manderà in onda il nostro progetto”
“Quando ho cominciato a pensare a un film su Harvey Milk, il primo gay a ricoprire una carica pubblica a San Francisco, mi sono imbattuto nel progetto di Oliver Stone, The Mayor of Castro Street, con Robin Williams candidato al ruolo principale. In un incontro a due, spazientito, Oliver lanciò in aria una tazza di caffè perché voleva dirigere il film alla sua maniera, e ognuno di noi finì per voltare le spalle all’altro, credendo di avere la ragione dalla propria”. Così, nel ’92, il regista Gus Van Sant raccontava ad Entertainment Weekly l’adesione ai movimenti per i diritti dei gay e il suo Milk a metà tra beat e controcultura. A 25 anni da quelle parole e a 9 dall’uscita del film con Sean Penn, incontriamo Van Sant al Los Angeles County Museum of Art (LACMA) in occasione della serie When We Rise, in onda in questi giorni su ABC e presentata in anteprima al RomaFictionFest. Sua è la mano dietro i primi 84 minuti. “Sono produttore esecutivo della miniserie che segna una nuova collaborazione con Dustin Lance Black“. Otto ore in totale per raccontare avanti e indietro nel tempo lotte e conquiste delle persone Lgbtq, attraverso il morbo dell’AIDS e il “sì” della Corte Suprema ai matrimoni gay. “Lo stile è a metà tra documentarismo e cinema, con materiale d’archivio inedito e spezzoni d’epoca. Oggi crediamo di vivere in un territorio franco ma certe barriere possono tornare e rialzarsi” mette in guardia Van Sant, reduce da una mostra – Icone – con retrospettiva al Museo del Cinema di Torino, e in piena presidenza Trump che, pochi giorni fa, voleva cancellare le misure di Obama sui bagni per transgender a scuola.
Il regista di Belli e dannati aveva dichiarato, all’indomani dell’uscita di Milk (2008), di guardare con sospetto all’America “che elegge un presidente afroamericano e, al tempo stesso, ha paura dell’altro”. Persino Obama non si era esposto per la Proposition 8 nel momento delle elezioni. “Con amarezza avevo pronosticato una vittoria, non troppo lontana, dell’ala quacchera degli Stati Uniti. Il cuore del paese resta puritano”. Nessun riferimento diretto al neopresidente eletto ma, interviene lo sceneggiatore, 42 anni, “essendo cresciuto tra i mormoni, a San Antonio, Texas, considero una vittoria sapere che ABC mandi in onda il nostro progetto. Abbiamo patteggiato un po’ su nudità e parolacce… Per il resto è confortante notare che un network ‘per famiglie’ abbracci la comunità gay e i nuclei familiari di tutti i tipi”.
Protagonisti di When We Rise – tratto dal memoir dell’attivista Cleve Jones (My Life in the Movement) – sono Guy Pearce, Mary-Louise Parker, Michael K. Williams e Rachel Griffiths. Solo Pearce, nella parte di Jones, intervistato ‘da adulto’ avanti nel tempo, compare in modo significativo nel primo episodio. Il capitolo ha inizio nel ’72 (Austin P. McKenzie porta sullo schermo il protagonista da giovane). Il magazine Life, nella sua edizione year-in-review, fa da magnete tra una storia e l’altra, per ricordarci che aria si respirava in America e nel mondo dopo i moti di Stonewall. Ci spostiamo a San Francisco, a un passo da North Beach, Haight Street e Ashbury Street che avevano conosciuto la Summer of Love psichedelica. Cleve, emarginato dal padre psichiatra (David Hyde Pierce) che crede l’omosessualità sia curabile con la lobotomia, diventa un senzatetto e un traffichino; Roma Guy, futura attivista per i diritti delle donne, si unisce a gay e lesbiche nelle rivolte in strada; di ritorno dalla guerra, perduto il suo amore clandestino, Ken deve fronteggiare il codice militare e mantenere segreta l’omosessualità. Fino a quando non incontra un coraggioso trans a Castro.
La polizia qui è ritratta come un cecchino, un tiratore scelto pronto a polverizzare la comunità Lgbtq a ogni atto di rivendicazione. Si aggiungono al cast Rosie O’Donnell nella parte di Del Martin (“Ha insistito per entrare nel cast” ricorda Van Sant. “Le ho fatto un provino via Skype ed era subito dei nostri”), Whoopi Goldberg (Pat Norman), Denis O’Hare (Jim Foster) e Carrie Preston Sally Gearhart). “Le musiche, i costumi, le sfumature, come in tutti i miei film, giocano un ruolo essenziale” prosegue Van Sant. “Ma quello che mi affascina della televisione è poter sperimentare nuove tecniche di ripresa. Ad esempio, il modo di inquadrare campi lunghi, in When We Rise, è quasi sovvertito. Tratto lo spazio, la città, la guerra e le scene di massa come se fossero un unico primo piano in 4:3. Perché? Per non farmi sfuggire niente della storia con la ‘s’ maiuscola. Comunque di libertà ABC ne ha concessa parecchia o forse sono stati i miei collaboratori a schermare abilmente i paletti. Se non sbaglio, una serie come Le regole del delitto perfetto, sempre di ABC, ha tentato per prima uno scambio con un pubblico giovane, aperto, e compreso che oggi i ragazzi chiedono giustizia. Culturale, sociale, storica. Aggiungerei, viscerale. Soprattutto quando si parla di tolleranza: non possiamo tradirli”.
di FILIPPO BRUNAMONTI, la Repubblica